Giorgio De Stefano

Giorgio Carmelo De Stefano (Reggio Calabria, 15 luglio 1941Santo Stefano in Aspromonte, 7 novembre 1977) è stato un mafioso italiano appartenente all'organizzazione denominata 'Ndrangheta.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Capobastone della 'Ndrina dei De Stefano, è stato protagonista della Prima guerra di 'ndrangheta al fianco dei Piromalli di Gioia Tauro e contro la vecchia 'Ndrangheta di Don Antonio Macrì e di Don Mico Tripodo, quest'ultimo era il capo della 'ndrina cui facevano parte anche i De Stefano che capeggiati da Giorgio riuscirono a staccarsi e ad assumere il predominio criminale a Reggio Calabria dopo l'uccisione di Mico Tripodo (ucciso in carcere a Napoli nel 1976 dalla Camorra di Cutolo su richiesta dei De Stefano). Durante la Prima guerra di 'Ndrangheta subisce un attentato (nel 1974), da parte di esponenti del clan Tripodo, all'interno del bar Roof Garden di Reggio Calabria ma rimane solamente ferito, muore invece il fratello Giovanni De Stefano.

La vittoria e l'uccisione[modifica | modifica wikitesto]

Giorgio De Stefano esce vittorioso dalla Prima guerra di 'Ndrangheta (che causò oltre 200 morti), dando il via assieme ad altre 'ndrine di Reggio Calabria e della provincia alla nuova stagione della criminalità organizzata calabrese fatta di nuovi affari più remunerativi (traffico di droga in primis) e collegamenti con il mondo politico-istituzionale (vedi creazione della Santa), che porterà la 'Ndrangheta ad entrare nei grandi appalti pubblici. Dopo la guerra il boss era diventato troppo potente (aveva contatti con Cosa Nostra, il mondo della politica, il mondo del terrorismo nero), tendeva ad espandersi sempre più e le altre 'ndrine temevano per i loro affari e decisero di ucciderlo. De Stefano era stato invitato a partecipare a una riunione sulle alture del massiccio aspromontano, in località Acqua Del Gallo (Santo Stefano di Aspromonte) con boss e consiglieri delle principali consorterie mafiose. Scopo ufficiale del summit era raggiungere un accordo per limitare i sequestri di persona, gli omicidi, gli attentati dina- mitardi, al fine di fare allentare sia la pressione esercitata dalle forze dell'ordine presenti in maniera massiccia nella provincia, sia quella delle più importanti testate nazionali, le quali avevano preso una dura posizione contro la 'ndrangheta. Era in gioco l'inserimento delle famiglie mafiose nei lavori per la realizzazione degli insediamenti in- dustriali previsti nel pacchetto Colombo e, proprio in quel periodo, si dovevano aggiudicare i lavori per la costruzione della superstrada Ionio-Tirreno con una spesa iniziale prevista di 45 miliardi. De Stefano si presentò con il cugino Enzo Saraceno. La sua eliminazione era stata decisa dalle principali famiglie e quello del summit fu solo un pretesto. A uccidere il boss fu Giuseppe Surace, cognato di Rocco Musolino, vicesindaco di Santo Stefano, che con De Stefano aveva un conto in sospeso. «Cornuto, tu hai sparato contro mio fratello (Per il tentato omicido di Rosso Surace, avvenuto nella primavera del 1963, vennero denunciati il boss Nico Tripodo e alcuni suoi affiliati, ma non De Stefano)» gli gridò in faccia prima di premere il grilletto. Nello scontro rimase ferito anche Saraceno. Racconta il pentito Giacomo Lauro: «In quel tempo Giorgio De Stefano era il capo della sua famiglia e aspirava a un ruolo ben più incisivo anche nell'ambito delle altre consorterie calabresi. Tenuto conto che lo stesso era privo di qualunque carisma e, quindi, certamente inidoneo a rivestire il ruolo di capo supremo, decisero di eliminarlo. Secondo gli inquirenti, il boss di Archi aveva cercato di mettere il naso in alcuni investimenti edilizi che interessavano i Mammoliti e i Piromalli. E l'aveva fatta grossa quando era andato a estorcere soldi a un imprenditore, un certo Russotti, protetto dal gruppo Mammoliti-Nava-Zinnato. De Stefano era latitante quando venne ucciso. Era sfuggito a un mandato di cattura emesso dalla Procura di Roma in relazione alle indagini sull'omicidio del giudice Vittorio Occorsio e sui contatti dello stesso De Stefano con il terrorista nero Pierluigi Concutelli. I veri mandanti dell'omicidio riuscirono, nell'immediatezza del fatto, a sostenere la propria estraneità, riversando sul Surace ogni colpa e bloccando ogni forma di legittima reazione da parte del clan De Stefano. Inoltre, per evitare che questi ultimi lo interrogassero, Surace, secondo quanto hanno dichiarato i collaboratori Filippo Barreca e Giacomo Ubaldo Lauro, venne eliminato e la sua testa fu recapitata a Paolo De Stefano. Quest'ultimo, che successe a Giorgio alla guida dell'omonima famiglia, si rese conto di non avere i mezzi per affrontare tutte quelle cosche (Piromalli, Mammoliti, Serraino, Mazzaferro, Nirta) che avevano promosso la riunione-trappola nella quale era caduto il fratello. La questione venne messa da parte per molti anni, fino a quando, alla metà degli anni Ottanta, Francesco Serraino, boss dell'omonima famiglia, alleata dei Piromalli e dei Mammoliti, non venne giustiziato all'interno degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, dove era ricoverato.

Note[modifica | modifica wikitesto]

https://books.google.it/books/about/Fratelli_di_sangue.html?id=bJ6X8R6vox0C&redir_esc=y

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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