Stato di polizia

Uno Stato di polizia rappresenta una evoluzione del tipico Stato assoluto e monarchico in quanto basato sullo ius politiae, un diritto mirato, sull'onda di alcuni principi giusnaturalistici, alla soddisfazione degli interessi dei sudditi e alla promozione del loro benessere, sebbene la determinazione di questi interessi continui ad essere operata dall'alto e riguardi solo interessi di tipo patrimoniale.

Nell'accezione comune il termine viene spesso usato impropriamente come sinonimo di stato autoritario, in quanto dominato dalle forze di polizia con poteri estesi.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Lo Stato di polizia si manifestò in un particolare periodo storico e in un particolare contesto geografico. Esso si affermò infatti all'epoca dell'Illuminismo, particolarmente in Prussia e nell'Impero austriaco, rispettivamente sotto i regni di Federico il Grande e di Maria Teresa d'Austria e del figlio Giuseppe II.

Tra XVII e XVIII secolo lo Stato Assoluto assunse una forma razionalizzatrice che prese il nome di Stato di polizia. Nonostante l'immagine prettamente repressiva, con il termine Stato di polizia intendiamo un sistema che si pone come fine il perseguimento del benessere dei suoi sudditi. Nasce dalla teoria dello Stato di polizia, sviluppatasi nel XVIII secolo in Austria, Germania e Francia. Infatti negli scrittori del Settecento, il termine polizia (che etimologicamente deriva dal greco polis) coincide con il termine amministrazione interna, con riguardo per tutte le attività di governo. Questo Sistema ha appunto come fine supremo il benessere dei suoi sudditi, che si può raggiungere soltanto a due condizioni: sicurezza e prosperità della vita.

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

L'accezione può dunque assumere connotati positivi, presentandosi come una prima (e primitiva) forma di ordinamento costituzionale personalistico, o negativi, rispetto alle democrazie costituzionali odierne. Di certo, questo uso originario del lemma in dottrina dello Stato non corrisponde con l'odierna utilizzazione del termine per descrivere uno Stato che si regga sull'impiego massiccio delle forze dell'ordine o di polizie segrete.

Un'espressione equivalente a Stato di polizia è quella di dispotismo illuminato. Altri hanno proposto "stato paternalistico".

È un sistema caratterizzato dall'intervento statale in economia, nella religione, nei costumi, nella salute e -appunto- nella sicurezza. L'amministrazione assume una tale complessità da potersi definire dotata di un'amministrazione propria, divisa da quella costituzionale. Tale struttura finì per condizionare i poteri del Sovrano, il quale sì teneva presso sé tutte le funzioni dello Stato, ma non si identificava più con esso (il monarca, infatti, diventa organo dello Stato).

Peculiarità di questo tipo di Stato è il riconoscimento di alcune posizioni soggettive ai singoli, tutelabili innanzi al giudice e rivendicabili anche contro i pubblici poteri. Pur essendo questo un riconoscimento ancora molto parziale, può essere considerato il precursore dello Stato di diritto, secondo il quale la pubblica amministrazione è tenuta al rispetto della legge e, qualora ciò non accadesse, è ritenuta giudicabile dai giudici.

Ha tuttavia coinciso, nell'immaginario comune, con l'uso esteso di forze di polizia per uniformare l'opinione pubblica alle decisioni, illuminate o meno, del sovrano o del despota o di chi detiene il potere. Questa coincidenza tra la definizione Stato di polizia e l'impiego della stessa per manipolare l'opinione pubblica è di dubbia fondatezza. Etimologicamente, semioticamente e, soprattutto, giuridicamente la definizione "Stato di polizia" non è assimilabile all'evenienza sopra indicata.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Bartolommeo Fiani, Della polizia considerata come mezzo di preventiva difesa: trattato teorico-pratico, Tipografia Nazionale Italiana, Firenze 1853.
  • Pierangelo Schiera, "Stato di Polizia", Dizionario di Politica, pp 948-951, (a cura di) N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, UTET, 2016

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