Registratore a nastro

Un registratore e nastro Tandberg
Effetto ECO a nastro continuo Roland
Registratore a bobine Grundig bidirezionale del 1955 museo internazionale del cinema e dello spettacolo di Roma
Registratore analogico multitraccia a bobina TASCAM

Un registratore a nastro (detto genericamente magnetofono o registratore magnetico), è un dispositivo usato per registrare e riprodurre suoni utilizzando supporti a bobina aperta contenenti nastro magnetico.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

I primi esperimenti risalgono al telegrafono di Valdemar Poulsen nel 1898, il quale permetteva di incidere su una sottilissima bava d'acciaio le pulsazioni binarie generate da una bobina magnetizzata dagli impulsi telegrafici.

Dopo anni di ricerche e tentativi a partire dal 1929, fu realizzato e brevettato nel 1934 dalla AEG in collaborazione con la Telefunken, il dispositivo denominato Magnetophon K1, che usava i nuovi nastri magnetici della BASF. Questi registratori ebbero uso abbastanza diffuso nelle stazioni radio tedesche e furono usati spesso per registrazioni direttamente presso le sale di concerto e per molte manifestazioni politiche.

Queste nuove macchine sostituirono lentamente i grossi registratori Siemens con nastro d'acciaio di grosse dimensioni, le bobine erano grandi come quelle dei proiettori cinematografici 35 mm, che ne limitavano il trasporto e l'uso.

Negli anni 50, soprattutto per il settore radiotelevisivo, vennero realizzati anche dei registratori a bobina chiusa, come il magnetofono a ciclo chiuso e il magnetofono a serbatoio, utilizzati dalla Rai rispettivamente per il segnale d'intervallo e per il giornale radio.[1]

In Italia i primi apparecchi furono realizzati, nel dopoguerra, da due cugini italiani Arrigo Castelli (San Giovanni Bianco, 22 novembre 1921 – Lugano, 3 dicembre 2007) e Giuseppe Castelli (Como, 26 agosto 1921 – Lugano, 22 novembre 2010), marchio diventato famoso grazie alla nota casa Geloso di Milano, che ha poi prodotto gli apparecchi su licenza Magnetofoni Castelli.

Nel corso degli anni il registratore a bobina fu perfezionato per le case discografiche per le quali vennero realizzati dei registratori multitraccia.

Nel 1963, grazie alla diffusione del transistor, la Philips introdusse la musicassetta (K7) ed il primo registratore portatile (modello EL 3302). Il nuovo sistema riscosse un grande successo grazie alla sua economicità e praticità rispetto ai nastri a bobine,[2] tanto da diventare uno standard per oltre 30 anni.

Il registratore a cassetta era destinato ad un uso domestico e non soppiantò il registratore a bobina assegnato ad un uso professionale. Quest'ultimo effettivamente continuò ad essere perfezionato per le sale d'incisione fino alla fine degli anni ottanta. Negli anni novanta la registrazione analogica venne man mano soppiantata dalla registrazione digitale. Infatti vennero prodotti registratori multitraccia che registravano in digitale su bobine magnetiche che, verso gli anni 2000, vennero gradualmente soppiantati dalla registrazione digitale su hard disk.[3]

Funzionamento[modifica | modifica wikitesto]

I suoni, raccolti da un microfono, modulano una corrente elettrica che fa variare il flusso di un'elettrocalamita, detta testina di registrazione, aderente alla quale passa un filo o nastro che si magnetizza in rapporto al flusso e conserva tale magnetizzazione.

Per la riproduzione del suono, il nastro magnetizzato viene fatto passare nell'intraferro di un altro elettromagnete, detto testina di riproduzione, modulando così una corrente che, opportunamente amplificata, viene inviata ad un altoparlante.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Elettronica, n. 1-2, Radio Italiana, gennaio-aprile 1953, p. 2.
  2. ^ Barbara Celli, Philips K7, il registratore a cassette, su webnews.it, 27 gennaio 2009.
  3. ^ La storia, su soundfan.it. URL consultato il 18 gennaio 2020.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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