Psicologia culturale

La psicologia culturale studia le regole adottate dall'uomo al fine di creare significati all'interno di contesti culturali. In altre parole, la psicologia culturale si pone l'obiettivo di verificare in che misura la mente e la vita umana sono lo specchio della cultura (oltre che della storia individuale e dei fenomeni biologici).

Tale concetto, ovvero come la cultura e la psiche si completino a vicenda, è apparso abbastanza recentemente nell'ambito delle teorie psicologiche ed è soggetto a diverse interpretazioni.

Due correnti principali sono comunque riconoscibili: la prima, di origine soprattutto statunitense, designa con questo termine lo studio delle differenze culturali nel comportamento psicologico (in questa accezione si preferisce però il termine "psicologia inter-culturale"); la seconda, prevalentemente di matrice europea, intende per "psicologia culturale" lo studio del rapporto di natura psicologica (quindi sia affettivo che cognitivo) che l'individuo elabora ed intrattiene con la propria cultura.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La psicologia culturale si impernia sul concetto di una inscindibile connessione tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti mediante i quali gli esseri umani empiricamente si relazionano con il mondo e tra essi.

Tra i precursori della psicologia culturale di stampo europeo va considerato Lev Vygotskij, in particolare per la sua opera Pensiero e linguaggio, del 1934, che però fu pubblicata in Russia e rimase a lungo sconosciuta in occidente.

Fu lo psicologo ed antropologo americano Douglass Price-Williams (1924 - 2014) uno dei primi a proporre il termine di "cultural psychology" in una sua conferenza a Honolulu nel 1978, in occasione di un convegno sull'approccio interculturale (Price-Williams, 1979). Più tardi, lo stesso Price-Williams ritornò sul tema, sottolineando come l'approccio interculturale, sia in antropologia che, a maggior ragione, in psicologia, dovesse basarsi su una "psicologia culturale" che ne legittimasse i fondamenti (Price-Williams, 1985).

Ciò nonostante, la cultural psychology anglo-americana rimane ancor oggi orientata al confronto tra diverse culture: il problema della "diversity" continua ad essere una preoccupazione maggiore per la società nordamericana e le sue imprese educative (cfr. Cole, 1996; Shweder, 1991; Stigler et al., 1990).
Anche il noto psicopedagogista Jerome Bruner (1990), che adottò anche lui – dopo molti altri – il termine di psicologia culturale, si allinea a questa corrente: le sue preoccupazioni rimangono legate alla problematica della diversità culturale e del confronto tra culture.

È soprattutto in Europa centrale che la psicologia culturale prende progressivamente forma come disciplina autonoma, distinta dalla psicologia interculturale e intesa come studio del rapporto tra l'individuo e la sua cultura.
Già nel 1957 all'Università Cattolica di Nimega fu istituita una cattedra speciale in cultuurpsychologie e psicologia delle religioni, alla quale fu nominato l'illustre religioso e psicologo olandese Han Fortmann.
Il progetto di allora era però soprattutto di promuovere un approccio "scientifico" allo studio delle religioni, e la psicologia culturale mitteleuropea rimase a lungo assorbita dalle problematiche del vissuto religioso.
Molto più tardi, grazie anche alla progressiva secolarizzazione degli incarichi accademici all'Università di Nimega, prese forma verso la metà degli anni novanta il Nijmegen Cultural Psychology Group, che contribuì a ricentrare la psicologia culturale sulla problematica dello sviluppo dell'identità quale nodo di articolazione tra cultura e individuo (cfr. Baerveldt & Verheggen, 1999; Leerssen & Corbey, 1991; Voestermans, 1999).

La psicologia culturale europea ha forti legami con l'epistemologia genetica piagetiana, della quale condivide l'approccio genetico e costruttivista. Tra i discepoli diretti di Jean Piaget, i contributi più significativi alla psicologia culturale sono quelli di Ernst Boesch, oggi professor emeritus dell'Università di Saarbrücken (Boesch, 1991), e soprattutto quelli di Donata Fabbri e Alberto Munari, ambedue professori all'Università di Ginevra (Fabbri, 1993; Fabbri, Formenti & Munari, 1992; Fabbri & Munari, 1984-2005, 1985, 1986, 1991, 1992; Munari, 1989, 1993, 2002).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Baerveldt C. & Verheggen Th. (1999): Towards a psychological study of culture: Epistemological considerations. In W. Maiers, B. Bayer, B. Duarte Esgalhado, R. Jorna & E. Schraube (eds.): Challenges to theoretical psychology. North York (CDN): Captus, 296-303.
  • Boesch E. (1991): Symbolic Actions Theory and Cultural Psychology. Berlin: Springer. (Trad. fr.: L'action symbolique. Fondements de psychologie culturelle. Paris: L'Harmattan, 1995).
  • Bruner J. (1990): Acts of meaning. Harvard University Press, Cambridge, USA (trad. it. La ricerca del significato. Bollati Boringhieri, Torino, 1992)
  • Cole M. (1996): Cultural Psychology: A once and future discipline. Cambridge: Harvard University Press (trad. it.: La psicologia culturale. Roma: Carlo Amore, 2004).
  • Fabbri D. (1993): Strategie dell'apprendere: Psicologia Culturale e Epistemologia Operativa. In E. Morgagni & L. Pepa (eds.): Età adulta: Il sapere come necessità. Cambiamenti e dinamiche della formazione. Milano, Guerini & Ass., 141-154.
  • Fabbri D., Formenti L. & Munari A. (1992): Moving into cognitive moves. Cultural Dynamics, 5, 2, 141-155.
  • Fabbri D. & Munari A. (1984-2005): Strategie del sapere. Verso una Psicologia Culturale. 1ª ed. Dedalo, Bari (1984); 2ª ed. riveduta e arricchita Guerini & Ass., Milano (2005).
  • Fabbri D. & Munari A. (1985): Il conoscere del sapere. Complessità e psicologia culturale. In G. Bocchi & M. Ceruti (dir.): La sfida della complessità. Milano: Feltrinelli, 334-346.
  • Fabbri D. & Munari A. (1986) : Pour une psychologie culturelle. Bulletin Suisse des Psychologues, 7, 6, 195-200.
  • Fabbri D. & Munari A. (1991): Cultural Psychology. A new relationship with knowledge. Cultural Dynamics, 3, 4, 327-348.
  • Fabbri D. & Munari A. (1992): Argomenti per una Psicologia Culturale. In O.Andreani-Dentici, E.Gattico (eds.): La scuola di Ginevra dopo Piaget. Milano: Raffaello Cortina Ed., 335-354.
  • Munari A. (1989): Per finta o per vero? In A.Piromallo, A.Abruzzese (eds.): Videoculture di fine secolo. Napol: Liguori Ed., 119-129 (trad. esp.: De verdad o de mentira, in Videoculturas de fin de siglo. Madrid: Càtedra, 1990).
  • Munari A. (1993): Il sapere ritrovato. Guerini & Ass., Milano.
  • Munari A. (2002): Per un approccio psico-culturale alla formazione. Milano: Adultità, 16: "Formazione lavoro", 93-102.
  • Leerssen J. & Corbey R. (eds.; 1991): Alterity, Identity, Image: Science and others in society and scholarship. Amsterdam: Rodopi.
  • Price-Williams D. (1979): Modes of thought in cross-cultural psychology: An historical review. In A. Marsella, R. Tharp & T. Ciborowski (eds.): Perspectives on cross-cultural psychology. New York Academic Press, 3-16.
  • Price-Williams D. (1985): Cultural Psychology. In G. Lindzey & E. Aronson (eds.): The handbook of social psychology. New York: Random House, 993-1042.
  • Scaratti G. (1998): La formazione tra psicologia culturale e orientamento psicosociologico. In C. Kaneklin & G. Scaratti (dir.): Formazione e narrazione. Milano: Cortina.
  • Shweder R. (1991): Thinking through cultures: Expeditions in Cultural Psychology. Cambridge: Harvard University Press.
  • Stigler J.W., Shweder R.A. & Herdt G. (eds.; 1990): Cultural Psychology: Essays on comparative human development. Cambridge: Cambdridge University Press.
  • Voestermans P. (1999): Cultural Psychology looks at culture. In W. Maiers, B. Bayer, B. Duarte Esgalhado, R. Jorna & E. Schraube (eds.): Challenges to theoretical psychology. North York (CDN): Captus, 304-312.
  • Inghilleri, P. (2009): Psicologia Culturale. Milano: Raffaello Cortina Editore

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