Preistoria della Sicilia

Voce principale: Storia della Sicilia.

La preistoria della Sicilia è quel lasso di tempo che va dalla comparsa dei primi uomini sull'isola fino alla colonizzazione greca dell'VIII secolo a.C.

Le origini della presenza dell'uomo in Sicilia sono oggetto di dibattito tra gli studiosi di paletnologia, così come dubbia è la sequenza di altre forme di vita che precedettero l'uomo.[1]

Le prime tracce certe della presenza umana sull'isola sono databili al 12.000 a.C. circa.[2]

La Sicilia prima dell'uomo[modifica | modifica wikitesto]

Prima della comparsa dell'uomo la Sicilia ha subito grandi evoluzioni di tipo geologico che l'ha portata a una progressiva emersione dal mare grazie anche alla pressione della placca africana. Di seguito vengono mostrate le fasi di questa emersione.

Mappa Denominazione Epoca
Tortoniano 11 milioni di anni fa
Messiniano 7 milioni di anni fa
Pliocene 5 milioni di anni fa
Pleistocene inferiore 1,8 milioni di anni fa
Pleistocene superiore 20 000 anni fa

La comparsa dell'uomo e la presenza animale[modifica | modifica wikitesto]

Per datare la comparsa di fauna in Sicilia va tenuta in conto la distanza dagli epicentri dei fenomeni di glaciazione del Nord Europa e dell'arco alpino. Per questa ragione, in Sicilia come in tutto il Mediterraneo, ai dati relativi alle sedimentazioni vanno sovrapposte le informazioni derivate dagli studi dei fenomeni eustatici: le diverse linee di riva vengono evidenziate o da fenomeni erosivi o da serie di fori circolari prodotti dai litodomi.[1]

Non è chiaro quando l'uomo sarebbe giunto in Sicilia. L'unica cosa che sembra certa è che vi sia giunto dall'esterno (non sarebbe cioè una evoluzione interna dei primi ominidi). A queste condizioni, diventa fondamentale la presenza del mare, una barriera invalicabile prima della scoperta della navigazione; eppure sappiamo anche che l'uomo è giunto in Sicilia prima di conoscere tale arte. Diversi animali, del resto, erano giunti in Sicilia prima dell'uomo. Ne deriva che con molta probabilità la Sicilia debba essere stata attaccata all'Italia o (meno probabilmente) all'Africa, in modo da permettere il passaggio di questa fauna.[2]

Il quesito sull'origine della presenza umana in Sicilia è dunque legato all'ipotetica esistenza di un collegamento geologico tra la Sicilia e l'Italia o l'Africa, ancora oggi oggetto di discussioni (vedi approfondimento a lato).[5]

L'era quaternaria è caratterizzata da quattro ere glaciali, durante le quali l'emisfero nord della Terra era coperto dal ghiaccio. In queste fasi di freddo (e in particolare nei cosiddetti "pleniglaciali", periodi di massimo freddo) i mari si ritiravano, abbassandosi di circa 120-130 metri. Nelle ere interglaciali (caratterizzate da un innalzamento delle temperature verso i livelli odierni), i ghiacciai si scioglievano e il livello del mare si innalzava.[9] In queste epoche, la Sicilia era una regione steppica, con aree cespugliose alternate a prateria alpina e forse ghiacciai montani. Le Egadi e Malta erano unite alla Sicilia e una immensa penisola a ovest arrivava quasi a lambire l'Africa. È probabile che la Sicilia fosse a quell'epoca unita alla penisola italiana e che di qui giungesse sull'isola la prima fauna. In alcune fasi pleistoceniche, diverse pianure siciliane furono sommerse dall'acqua, isolando certa fauna, che, divenuta endemica, sviluppò nanismo o gigantismo.[9] Dopo l'ultima glaciazione (detta Würm), le temperature si innalzarono e, intorno al 4500 a.C., le coste raggiunsero la conformazione attuale: il paesaggio passò da steppico a boscoso. La megafauna pleistocenica era a quel punto scomparsa e l'uomo si era già stanziato sull'isola.[9]

In quasi tutte le grotte dell'isola, al di sotto dei livelli epigravettiani (20.000 a.C. ca.) si trovano strati più antichi di sedimento rossiccio (le cosiddette "terre rosse"), che presentano una ricca fauna pachidermica ora estinta, ma nessuna traccia dell'uomo. Assai significativa risulta la presenza dell'elefante (Palaeoloxodon mnaidriensis, Palaeoloxodon melitensis e Palaeoloxodon falconeri, quest'ultimo alto appena 90 cm), oltre a quella della iena, dell'ippopotamo e del ghiro gigante Leithia melitensis. Si tratta di specie tipiche dell'isola, il che farebbe pensare a forme di vita ormai isolate, quindi posteriori alla glaciazione Riss. In particolare, le datazioni su questi resti fossili (ottenuti attraverso racemizzazione degli amminoacidi) hanno indicato per Palaeoloxodon falconeri della grotta di Spinagallo un valore di 550 000 anni, mentre 180 000 anni avrebbero i resti di Palaeoloxodon mnaidriensis della grotta dei Puntali.[10] Mancando una correlazione stratigrafica tra la presenza umana e questa fauna ormai estinta, rimarrebbe confermata l'ipotesi secondo cui l'uomo sarebbe giunto in Sicilia solo nel tardo Pleistocene.[5]

Se smentiti i rinvenimenti di resti umani attribuiti a Homo erectus, la più antica testimonianza umana sull'isola datata con il radiocarbonio 14 è l'epigravettiano finale della grotta dell'Acqua fitusa, presso San Giovanni Gemini (Agrigento), non più antico dell'ultimo pleniglaciale di Würm (13.760 +-330 BP, cioè l'11.180 a.C.[11]).

L'uomo sarebbe dunque apparso in Sicilia alla fine del Pleistocene. A quell'epoca, esemplari di Homo simili all'uomo moderno presero a frequentare la maggior parte delle grotte costiere. I pachidermi del Pleistocene medio erano già del tutto scomparsi: questi abitatori di grotte non poterono incontrare le varie specie endemiche di elefante nano, né l'Hippopotamus pentlandi Meyer[12]. Gli unici grandi mammiferi che vivevano in questa epoca erano l'Equus hydruntinus, un equide simile all'asino, e l'uro (Bos primigenius). Altre prede dell'uomo erano il cinghiale (Sus scrofa ferus), la volpe e il cervo e vari bovini (l'associazione faunistica detta "stadio del Castello"). Alla caccia si accompagnava la raccolta di vegetali spontanei.[2][13]

Tali attività erano supportate da strumenti in selce e quarzite, ottenuti tramite scheggiatura.[2] La comparsa dell'uomo sull'isola coinciderebbe peraltro con il fenomeno di miniaturizzazione dei manufatti litici, un'evoluzione universalmente attestata, che facilitò l'innesto dei manufatti su supporti lignei o ossei.[14]

Età della pietra[modifica | modifica wikitesto]

Paleolitico superiore[modifica | modifica wikitesto]

Scheletro di Leithia melitensis
Da sinistra: Gino Vinicio Gentili e Luigi Bernabò Brea, due figure chiave dell'archeologia in Sicilia, accompagnano Alcide De Gasperi e consorte in visita al Museo archeologico di Siracusa

Il Paleolitico superiore sembra essersi sviluppato in Sicilia con un certo ritardo rispetto a quello peninsulare: delle tipiche industrie post-musteriane sono rappresentate solo le fasi più tarde. Le evidenze archeologiche più importanti, almeno in termini di quantità, provengono dalle grotte della costa nord-occidentale e sud-orientale dell'isola.[15] Esse sono il prodotto di campagne di ricerca che hanno evidentemente sottovalutato la ricchezza dei resti di altre zone. Non sono mai state rintracciate nelle sequenze archeologiche riferibili a questo periodo sovrapposizioni tra tipologie di industria diverse, in modo da consentire di relazionarle tra loro nel tempo: si è quindi soliti adottare in questi casi metodi statistici ed evidenziare tendenze, anche se a volte tale metodologia è ostacolata dal fatto di avere a disposizione soltanto dati e analisi provenienti da scavi vecchi, effettuati senza curarsi del mantenimento della sequenza stratigrafica.

L'approccio statistico di Georges Laplace[16] ha consentito di concludere che le origini del Paleolitico superiore in Sicilia vanno poste all'inizio dell'Aurignaziano evoluto (come al riparo della Fontana Nuova di Marina di Ragusa, risalente a circa 30 000 anni fa). Concorda con questa opinione Luigi Bernabò Brea[17]. A Fontana Nuova, l'industria litica si caratterizza per l'assenza di lame e punte a dorso abbattuto, uno dei manufatti caratteristici dei più tardi complessi epigravettiani. Il piano di percussione di alcune lame indica una certa arcaicità, collegabile a tipologie musteriane. Una differenza notevole rispetto alle tipologie proprie dell'Aurignaziano è l'assenza di punte d'osso a base spaccata, forse perché quegli strumenti erano ormai in disuso (uno dei motivi per cui Laplace propende per una datazione bassa del complesso). Unico risulta infine essere un piccolo cilindro di calcare, di sezione ellittica e con alcune tacche disposte in parallelo, apparentemente delle marques de chasse, cioè dei promemoria indicanti il numero di prede uccise. L'attribuzione dell'industria del riparo all'Aurignaziano è stata confermata da una serie di studi[18] compiuti negli anni novanta, nel corso dei quali si è proceduto anche allo studio della fauna e dei pochi resti umani associati. L'insieme faunistico appare nettamente dominato dal Cervus elaphus (92% circa dei reperti identificati), a cui si affiancano pochi resti di uro e cinghiale.

L'orizzonte epigravettiano[modifica | modifica wikitesto]

I megaliti dell'Argimusco, a sud-est di Montalbano Elicona, la cui origine è incerta

A parte l'industria di Fontana nuova, ipoteticamente attribuita all'Aurignaziano medio o evoluto, le altre industrie litiche rinvenute in Sicilia, almeno le più antiche, appartengono tutte a un momento assai avanzato del Paleolitico superiore che sull'isola prende il nome di epigravettiano finale siciliano e sono attribuite a gruppi umani giunti dalla penisola italiana.

La punta a dorso abbattuto è il manufatto tipico dell'orizzonte che prende il nome dal sito francese di La Gravette. Questa punta veniva scheggiata fino a ottenere un lato lungo poco o per nulla ritoccato e un lato "abbattuto", cioè fittamente scheggiato. La sezione risulta essere triangolare. È uno strumento di caccia che provocava lacerazioni e contusioni, con il fine di uccidere la preda, se non per l'effetto della ferita, almeno per il dissanguamento provocato dalle grandi emorragie.

Oltre alla macrofauna terrestre, prede dell'uomo erano i molluschi raccolti a riva, ma anche di terra (Patella ferruginea e Patella caerulea; Trochus). Se è vero che la dieta si basava comunque sulla caccia, è però possibile che tanto la raccolta dei molluschi che la pesca si incrementassero nel Mesolitico.[19]

I gruppi umani dell'epigravettiano frequentavano le numerose grotte dei litorali siciliani, particolarmente quelli trapanese (Grotte di Scurati), palermitano e siracusano. Costituivano gruppi verosimilmente nomadi o solo stagionalmente stanziali. Le principali attività, come la cottura dei cibi, la lavorazione delle pelli, del legno, delle ossa e della pietra, e forse anche le pratiche religiose e certamente la sepoltura sono testimoniate principalmente all'interno delle grotte. Per quel che riguarda le isole minori, solo Favignana e Levanzo, che durante l'ultima glaciazione erano unite alla costa trapanese, hanno restituito testimonianze di questo periodo.

Lo schema proposto da Laplace profila tre facies:

Mesolitico[modifica | modifica wikitesto]

Equinozio di fronte a un'aquila di roccia dal sito di Pizzo Vento a Fondachelli-Fantina (provincia di Messina)

Il Mesolitico ("età della pietra di mezzo") è un termine che indica in paleoetnologia tutte quelle manifestazioni umane post-pleistoceniche ma non ancora compiutamente neolitiche, quindi precedenti l'affermarsi della rivoluzione agricola. Il peculiare modo di sussistenza mesolitico si basava sulla caccia, la pesca e la raccolta. La caccia non era più rivolta alla cattura di grandi prede pleistoceniche: la taglia della fauna era ora inferiore. Il microlitismo mesolitico era caratterizzato da forti accenti geometrici.[21] Anche se non sempre riscontrabile, l'ipotesi è che, in questo lasso di tempo, le abitazioni umane si fossero spostate dalle grotte a siti all'aperto: baricentro della vita umana sarebbero divenuti i bacini idrici restituiti dall'arretramento dei ghiacci. In generale, dunque, il termine mesolitico indica quelle industrie litiche di gruppi umani discendenti dei cacciatori paleolitici.[22] Tali gruppi umani adattarono il loro armamentario litico alle mutate condizioni climatiche (i ghiacciai avevano lasciato spazio, nell'Europa centrale e settentrionale, a grandi laghi, zone paludose e tundra, ben presto soppiantati da foreste), senza però aver ancora ricevuto gli stimoli orientali che avrebbero introdotto in Occidente l'agricoltura. In Italia, questo cambiamento climatico fu certamente meno sensibile che nel resto d'Europa.[22] Anche per questa ragione, non è semplice individuare un Mesolitico siciliano: registrare questo passaggio sull'isola (in un'epoca che va dai 10.000 ai 5.000 anni fa) è possibile solo in alcune grotte (la grotta Corruggi, la grotta dell'Uzzo, nei pressi di Erice, e la Grotta di Cala dei Genovesi).[23]

L'industria litica dell'orizzonte mesolitico siciliano è quasi del tutto operata su selce e presenta numerosi denticolati. A essa sono associate punte e spatole d'osso e ornamenti (come denti atrofici di cervo). I giacimenti mesolitici siciliani sono ancora in via di definizione, essendo il termine "Mesolitico" relativamente recente. Il giacimento che ha dato il via alla ricognizione di un Mesolitico siciliano è il riparo della Sperlinga (Novara di Sicilia).[24]

L'orizzonte mesolitico siciliano è caratterizzato anche da un mutamento nelle rappresentazioni figurative: dal naturalismo di Levanzo e dell'Addaura si passa a uno schematismo alquanto accentuato.[25]

Per quel che riguarda le sepolture, sarebbero da attribuire al Mesolitico quelle dell'Uzzo e della Molara (nella Conca d'Oro dell'entroterra palermitano). Venivano deposti uno o due individui per tomba e i corpi venivano adagiati su uno strato di ocra gialla. La fossa era poi ricoperta di pietre. L'orientamento dei corpi non appare definito, mentre è sempre assente il corredo funerario, se si eccettua qualche raro dente di cervo o qualche ciottolo ben lavorato. Le sepolture mesolitiche siciliane sono dunque povere di quella serie di piccoli oggetti ornamentali (conchiglie forate, denti e pietre), al contrario di quanto accade per le deposizioni mesolitiche europee.[25]

L'arte rupestre paleo-mesolitica di Cala dei Genovesi e dell'Addaura[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Grotta del Genovese e Grotte dell'Addaura.
Le incisioni rupestri delle grotte dell'Addaura replicate al Museo archeologico regionale Antonio Salinas

La datazione delle rappresentazioni parietali in Sicilia risulta complessa, poiché, salvo che in pochissimi casi, esse non sono state ritrovate coperte da depositi archeologici. Per lo più, si fa riferimento alla patina che ricopre i segni (ma più per stabilire la sicura arcaicità che per determinare esattamente la datazione) o al contenuto delle raffigurazioni.[26]

I più importanti esempi pervenuti di raffigurazioni parietali in Sicilia si trovano alla grotta di Cala dei Genovesi e alle grotte dell'Addaura. Tali complessi artistici preistorici sono tra i più rilevanti d'Europa.[27]

La grotta dei Genovesi (o dei Cervi) si trova a circa mezz'ora a piedi, verso nord ovest, dall'unico villaggio di Levanzo. Quest'isoletta era un tempo collegata alla Sicilia e l'agevole passaggio è suggerito anche dall'abbondanza della tematica animale nelle raffigurazioni parietali: 32 figure, di cui 29 animali, con dimensioni che variano dai 15 ai 30 centimetri. Una datazione assoluta con il carbonio-14 ha indicato il X millennio a.C.[28]

Anche nella grotta dell'Addaura, a pochi chilometri da Palermo, la raffigurazione parietale pone insieme animali e uomini. Il gruppo ritenuto il più antico ha tratto leggero. Sovrapposto a queste figure c'è un altro gruppo, inciso più a fondo. Un terzo gruppo, anch'esso inciso in profondità, è composto da pochi animali, con stile diverso, più contratto, forse prodotto di una cultura posteriore decadente. Il secondo gruppo è quello di maggiore interesse, soprattutto perché caratterizzato dalla quotidianità dell'attività umana, cosa alquanto rara nell'arte preistorica. I disegni appartengono al Paleolitico superiore; è possibile che siano coevi al talus scavato da Jole Bovio Marconi e, in questo caso, apparterrebbero all'epigravettiano evoluto, anche se non è possibile dirlo con certezza.[29]

Neolitico[modifica | modifica wikitesto]

Scavi sistematici effettuati a partire dal 1950[senza fonte] a Lipari hanno rivelato testimonianze importantissime e stratificate di tutte le civiltà che dal Neolitico (VI millennio a.C.) in poi hanno colonizzato l'isola. Questo era uno dei principali centri di estrazione e distribuzione dell'ossidiana, materia prima rara e notevolmente ricercata nel bacino del Mediterraneo.

Età dei metalli[modifica | modifica wikitesto]

Età del bronzo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Lipari § L'Età del bronzo.

Venti chilometri a ovest di Noto è stata individuata la necropoli dell'importantissimo l'insediamento di Castelluccio[30], che ha permesso di tipizzare l'importante fase di civilizzazione (tra 1650 a.C. e 1250 a.C.) detta Cultura di Castelluccio; questi studi hanno permesso di scoprire[senza fonte], data la coincidenza delle ceramiche di tipo egeo, l'intensa relazione commerciale con Malta in tale periodo. A Panarea il ritrovamento del cosiddetto Villaggio di Punta Milazzese, con 23 capanne ovali atte all'alloggio e alla difesa, ha fornito la testimonianza di commerci con il mondo miceneo, confermata anche dai ritrovamenti di Thapsos (nel comune di Priolo Gargallo), Milazzo, Filicudi (capo Graziano), Pantalica e Siracusa.

Dolmen situato a Monte Bubbonia (provincia di Caltanissetta)
Dolmen di Avola (provincia di Siracusa)

Un altro importante esempio di architettura rupestre è costituito dalle grotte della Gurfa, nei pressi del comune di Alia. Si tratta di sei vasti ambienti, di cui non è mai stata chiarita unanimemente la funzionalità, scavati all'interno di una rupe di arenaria rossa. Il più esteso degli ambienti ricorda la struttura a thòlos micenea.

È questo il periodo in cui si assiste alla migrazione di popoli provenienti da occidente, portatori della cultura del vaso campaniforme e di alcune speciali sepolture a tumulo (i cosiddetti "sesi"), che si ritrovano nell’isola di Pantelleria; ma anche culture funerarie che si estrinsecano in piccole costruzioni a dolmen provviste di corridoio (queste ultime diffuse soprattutto nella Sicilia occidentale) e sepolture con copertura a lastre litiche individuate a Monte Racello (Comiso) da Paolo Orsi [31]. Questi piccoli monumenti risultano analoghi a costruzioni presenti in una vasta area del Mediterraneo (Spagna, Sardegna, Malta e Puglia): a Mura Pregne (Palermo), Sciacca, Monte Bubbonia, Butera, Cava dei Servi e Cava Lazzaro. Appena fuori la cittadina di Avola, si erge un monumento di origine naturale, adattato in epoca preistorica a modelli architettonici presenti nel Nord Europa.[32]

Le migrazioni[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sicilia preellenica.

Secondo Diodoro Siculo[senza fonte] intorno al XIV-XIII secolo a.C. le isole Eolie vennero attaccate e occupate dagli Ausoni guidati dal condottiero Liparo (da cui prese il nome l'isola maggiore). Gli scavi archeologici confermano[senza fonte] il fatto che a partire dal 1270 a.C. nei villaggi eoliani risultano tracce di distruzioni violente e improvvise. Dopo tale periodo la vita riprese, nella zona del castello di Lipari, ma in maniera diversa come usi, utensili e tipo di insediamento, molto simile a quello dei siti del continente italico.

Verso la metà del XIII secolo arrivarono i Sicani[senza fonte], un popolo non indoeuropeo, secondo Tucidide[senza fonte] provenienti dalla zona iberica e in fuga perché cacciati dai Liguri. I Sicani sconfissero gli abitanti locali, di razza gigantesca, che Tucidide chiama Ciclopi e Lestrigoni. I Sicani si stanziarono principalmente al centro e nella zona sudoccidentale della Sicilia. Tracce di loro rimangono[senza fonte] nella necropoli di Caltabellotta con le caratteristiche tombe a camera, nella valle del Platani nell'antica città di Camico (mai identificata, tuttavia alcuni autori sostengono possa trattarsi di Sant'Angelo Muxaro)[senza fonte], con le sue ceramiche scure con decorazioni impresse e segni del culto antico della Madre terra. Vennero presto spinti verso l'interno dall'arrivo degli Elimi, i fondatori di Segesta ed Erice.

Nella tarda età del bronzo i Micenei, in crisi per motivi politici ed economici, cominciarono a scomparire dalla scena mediterranea. Al loro posto arrivarono dal nord altri popoli. Ellanico di Mitilene narra[senza fonte] dei Siculi e degli Ausoni, scacciati dagli Enotri attorno al 1260 a.C. In particolare furono i Siculi, popolo latino-falisco affine ai Latini, a importare nell'isola l'uso del cavallo e il culto dei morti.

Età del ferro[modifica | modifica wikitesto]

L'età del ferro, in Sicilia, si situa tra il 1200 e il 1100 a.C.[senza fonte] Reperti del periodo sono stati rinvenuti a Barcellona Pozzo di Gotto, Monte Finocchito (Noto), Sant'Angelo Muxaro[33]. Ultima infine, tra XI e X secolo a.C., avvenne la penetrazione dei Fenici ritenuti i fondatori di Solunto, Mozia, Palermo e Lilibeo.

Tra il XIII e l'VIII secolo a.C., il periodo precedente all'arrivo dei Greci in Sicilia, l'isola risultava così suddivisa tra quattro popoli: Siculi, Sicani, Elimi e Fenici.

Gli aborigeni isolani nelle fonti classiche[modifica | modifica wikitesto]

Le testimonianze greche[modifica | modifica wikitesto]

Quando i Greci, nel VII secolo a.C., si installarono sull'isola, pur avendo già migliorato[senza fonte] l'alfabeto fenicio, non avevano ancora preso l'abitudine di mettere per iscritto le loro vicende[senza fonte]. Il resoconto di Tucidide riferisce[senza fonte] che i coloni si imbatterono nei Siculi nella metà orientale e nei Sicani nella parte occidentale. La testimonianza di Tucidide è la più antica tra quelle pervenute ed è tratta da Antioco di Siracusa[senza fonte], autore di una Storia della Sicilia dalle origini fino al 424 a.C. Essa risulta comunque poco affidabile: se già per Omero ed Esiodo la Sicilia era un luogo mitico quanto il lontano Occidente, abitato da mostri e poco esplorato, anche Tucidide fa riferimento a Ciclopi e Lestrigoni.[34]

Principali insediamenti culturali dell'isola[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Tusa, p. 29.
  2. ^ a b c d e Nicoletti 2003, p. 7.
  3. ^ Holloway, p. 3.
  4. ^ Finley, p. 13.
  5. ^ a b c d e Tusa, p. 47.
  6. ^ Tusa, p. 51.
  7. ^ L'assenza di relazioni contestuali con la fauna del Pleistocene superiore potrebbe essere un indizio per inserire la comparsa dell'uomo sull'isola intorno a 300 000 anni fa, come se l'uomo avesse trovato il suo spazio solo in occasione dell'estinzione della fauna caratterizzata da Palaeoloxodon falconeri, ma resterebbe oscuro perché di fronte alla successiva fauna caratterizzata da Palaeoloxodon mnaidriensis non vi sia più traccia dell'uomo, almeno fino al Paleolitico superiore dell'industria epigravettiana. In tale contesto, determinante risulta la maggiore o minore incisività degli scavi in determinate zone dell'isola, che può restituire false evidenze (cfr. Tusa, p. 55).
  8. ^ Nicoletti 1997.
  9. ^ a b c Nicoletti 2003, p. 9.
  10. ^ Questo quadro della fauna presente nei livelli a terra rossa (sequenza quaternaria più antica), sottostante il livello con resti di industria litica, è tratto da Tusa, p. 31. Nonostante ipotesi contrarie, accolte con scetticismo dalla comunità scientifica, i livelli a terra rossa costituiscono il terminus post quem stratigrafico della comparsa dell'uomo in Sicilia (Tusa, p. 43).
  11. ^ Gullì, p. 259.
  12. ^ L'Hippopotamus pentlandi Meyer della grotta di San Teodoro è stato datato intorno ai 190 000 anni fa con il metodo della racemizzazione degli amminoacidi (cfr. Tusa, p. 39).
  13. ^ Tusa, pp. 42 e 74.
  14. ^ Normalmente, le sequenze stratigrafiche non sovrapposte sono state disposte cronologicamente pensando a una progressiva miniaturizzazione degli strumenti litici. In certi casi, la sovrapposizione degli strati ha suggerito eccezioni a questo presupposto, come ad esempio, nel caso della grotta di San Teodoro (ad Acquedolci, in provincia di Messina): qui alcuni livelli con manufatti microlitici risultano più antichi di quelli con diminuzione del microlitismo (Tusa, p. 71). Il microlitismo prenderà comunque piede in Sicilia, in modo inequivocabile, nel Mesolitico.
  15. ^ Ciò, forse, anche a motivo della prossimità di questi luoghi di scavo con i centri culturali più importanti: Palermo, Catania, Siracusa, dove, all'inizio del XX secolo, si sviluppò un fervido interesse delle classi agiate per la preistoria isolana (Tusa, p. 67 e 132).
  16. ^ Les subdivisions du Leptolithique italien. Étude de typologie analityque, BPI, LXXIII, 1964, pp. 25 sgg.
  17. ^ In La Sicilia prima dei Greci, Il Saggiatore, Milano, 1958, citato da Tusa, p. 69.
  18. ^ Chilardi et al.
  19. ^ Tusa, p. 74.
  20. ^ Non è chiaro a quale dei due livelli di San Teodoro intendesse riferirsi Laplace, se a quello inferiore microlitico o se a quello superiore macrolitico (cfr. Tusa, p. 77).
  21. ^ Tusa, p. 94.
  22. ^ a b Tusa, p. 95.
  23. ^ Tusa, p. 93.
  24. ^ Tusa, p. 97.
  25. ^ a b Tusa, p. 102.
  26. ^ Tusa, p. 105.
  27. ^ Nicoletti 2003, p. 8.
  28. ^ Tusa, p. 106.
  29. ^ Tusa, pp. 110-115.
  30. ^ Paolo Orsi, Scarichi del villaggio siculo di Castelluccio, in Bullettino Paletnologico Italiano, n. 19, 1893, pag. 3.
  31. ^ Paolo Orsi Miniere di selce e sepolcri eneolitici a monte Tabuto e monte Racello presso Comiso (Siracusa), in Bullettino di Paletnologia Italiana, vol. XXIV, 1898, pp. 18-19.
  32. ^ Salvatore Piccolo, Antiche pietre: la cultura dei dolmen nella preistoria della Sicilia sud-orientale, Morrone, 2007, ISBN 978-88-902640-7-8, p. 60.
  33. ^ Bernabò Brea, p. 182.
  34. ^ Finley, p. 17.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]