Palinodia

Palinodia è il termine che indica ogni componimento poetico che si configura come una ritrattazione di parole o idee precedentemente espresse. La parola deriva dal greco: secondo la definizione del lessico Suda,

(GRC)

«Παλινῳδία δὲ ἐναντία ᾠδή, ἢ τὀ τὰ ἐναντία εἰπεῖν τοῖς προτέροις»

(IT)

«Palinodia: Canto opposto, o dire il contrario di quanto detto prima»

La parola è composta infatti dell'avverbio πάλιν (pálin, sia "di nuovo" che "all'indietro") e dal sostantivo ᾠδή (ōdé, "canto").

Nella letteratura greca[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Palinodia (Stesicoro).

Le più antiche attestazioni della parola sono nell'Encomio di Elena di Gorgia e nel Fedro di Platone, ed entrambe riportano che questo era il titolo di una elegia del poeta Stesicoro.

Questi infatti, in una delle sue elegie ispirata alla versione omerica della guerra di Troia, aveva insultato Elena attribuendole le cause del conflitto, e come conseguenza avrebbe perso la vista a causa di una maledizione infertagli dai Dioscuri o da Era.

Capito l'errore commesso, si affrettò a cercare il perdono e a ritirare quanto affermato, componendo la Palinodìa di cui si conosce solo il seguente frammento:

(GRC)

«Οὐκ ἔστ'ἔτυμος λόγος οὗτος
οὐδ'ἔβας ἐν νηυσὶν εὐσέλμοις
οὐδ'ἵκεο Πέργαμα Τροίας»

(IT)

«In tutta questa storia, non c'è nulla di vero:
tu non andasti mai sulle navi compatte,
agli spalti di Troia tu non giungesti mai.»

Questa teoria si basa su una variante della leggenda per cui non sarebbe stata Elena ad andare a Troia con Paride, bensì una sua immagine (εἴδωλον). Secondo questa teoria, che ritroviamo proposta da Euripide nella sua Elena, la protagonista del mito sarebbe stata trasportata in Egitto, alla corte di Proteo, per essere tenuta al sicuro durante la guerra di Troia.

Nella letteratura latina[modifica | modifica wikitesto]

Lo scoliaste Pomponio Porfirione nel suo commento all'opera di Orazio mette in evidenza come l'Epodo n. 17 si configura come una palinodia: in esso la strega Canidia strappa al poeta parole di supplica perché lo lasci in pace; i versi 36-41 recitano

(LA)

«Quae finis aut quod me manet stipendium
Effare; iussas cum fide poenas luam,
paratus expiare: seu poposceris
centum iuvencos; sive mendaci lyra
voles sonare: "Tu pudica, tu proba!
Perambulabis astra sidus aureum!"»

(IT)

«Qual fine o quale punizione mi rimane?
Sentenzia; sconterò lealmente le pene da te ordinate
pronto all'espiazione: sia che tu abbia chiesto
cento giovenche, sia che tu voglia farmi suonare
su lira bugiarda: "Tu pudica, tu onesta!
Percorrerai le vie astrali tu stella dorata!»

Il commentatore collega questo passo all'episodio stesicoreo, ma rileva l'intenzione antifrastica del passaggio: la lode sperticata non sarebbe altro che una palese presa in giro. La ritrattazione dunque si configura qui come una dimostrazione per assurdo di quanto precedentemente affermato.

Questa particolare strategia retorica sarà in seguito riproposta dagli autori più avveduti delle letterature successive.

Nella letteratura italiana[modifica | modifica wikitesto]

Anche l'episodio del bacio tra Paolo e Francesca nel V canto dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri può essere considerata una palinodia dell'autore nei confronti dello stilnovo e della tematica dell'amore terreno. Dante difatti comprende Francesca e soffre insieme a lei così da perdere i sensi e concludere il canto.[1]

Nella Palinodia al marchese Gino Capponi, Leopardi finse in stile ironico di ritrattare il suo pessimismo e le sue critiche al mito ottocentesco del progresso, indirizzando il componimento al principale rappresentante della cultura cattolico-liberale italiana. Nel lungo componimento, formato da 279 endecasillabi sciolti e risalente al 1835, Leopardi inserisce velate critiche (in forma di lodi fittizie) ad alcuni fenomeni che possono essere considerati anticipatori della globalizzazione: ad esempio, la simultaneità dell'informazione e la capillarità dei trasporti e del commercio.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Pasquini, Emilio e Quaglio, Antonio, le note e il commento del "Commedia - Inferno," Dante, Garzanti Editore, 1982, p. LXXI.

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