Notte (Michelangelo)

Notte
AutoreMichelangelo
Data1526-1531
MaterialeMarmo
Dimensioni155×150 cm
UbicazioneSagrestia Nuova, Firenze
Veduta frontale

La Notte è una scultura in marmo (155x150 cm, lunghezza massima in obliquo 194 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1526-1531 e facente parte della decorazione della Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze. In particolare è una delle quattro allegorie delle Parti della Giornata, e si trova a sinistra sul sarcofago della tomba di Giuliano de' Medici duca di Nemours.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La Notte fu tra le prime sculture ad essere conclusa e godette di una straordinaria fama grazie anche a una nota quartina di elogio di Giovanni di Carlo Strozzi, in cui la statua veniva invitata a svegliarsi per farsi vedere animata:

La Notte che tu vedi in sì dolci atti
dormire, fu da un Angelo scolpita
in questo sasso e, perché dorme, ha vita:
destala, se nol credi, e parleratti.[1][2]

Michelangelo rispose nel 1545-1546 con alcuni versi, intitolati "Risposta del Buonarroto", fatti “pronunciare” alla statua stessa, in cui indicava come il sonno, alla luce dei disordini che imperversavano a Firenze durante il governo di Cosimo I de' Medici, fosse il motivo della serenità della Notte rispetto all'inquietudine delle altre statue:

Caro[3] m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso,
mentre che 'l danno e la vergogna dura;
non veder, non sentir m'è gran ventura;
però non mi destar, deh, parla basso.[2]

Fonti antiche (Doni) riportano come il maestro dovette rifare il braccio sinistro della statua due volte, a causa di un danneggiamento.

Descrizione e stile[modifica | modifica wikitesto]

La Notte è rappresentata come una personificazione femminile, semidistesa e nuda, come le altre statue della serie. Essa ebbe come modello, forse, le rappresentazioni antiche della Leda o di Arianna dormiente: in effetti la posizione sdraiata, con la gamba sinistra piegata, la testa reclinata, ricordano da vicino la Leda e il cigno di un perduto cartone michelangiolesco del 1530 circa.

Il braccio sinistro sta piegato dietro la schiena e quello destro regge la testa appoggiandosi alla coscia sinistra. Ciò provoca una torsione che ruota il busto, dalla finitura polita e rilucente (quasi fosse irrorato dalla luce lunare), in favore dello spettatore. I capelli sono lunghi, raccolti in trecce e in testa indossa un diadema col crescente e una stella.

Tra le varie letture iconologiche proposte, si è vista la statua come emblema dell'Aria o dell'Acqua, del temperamento melanconico della teoria umorale, della fecondità della notte. Gli attributi sono sparsi attorno alla figura e non come di consueto impugnati. Essi sono la civetta (animale notturno), un mazzo di fiori che forse rappresentano papaveri (sia simbolo di fertilità che di sonnolenza in quanto oppiaceo), e la maschera, che può significare i sogni notturni o la morte, intesa come sonno del corpo in attesa della resurrezione.

Influenze letterarie[modifica | modifica wikitesto]

La statua con la sua singolare posa è considerata da Charles Baudelaire, che la cita nel sonetto L'ideale de I fiori del male come uno dei possibili simboli di quel concetto:

(FR)

«Ce qu'il faut à ce coeur profond comme un abîme,
c'est vous, Lady Macbeth, âme puissante au crime
rêve d'Eschyle éclos au climat des autans;
ou bien toi, grande Nuit, fille de Michel-Ange
qui tors paisiblement dans une pose étrange
tes appas façonnés au bouches des Titans!»

(IT)

«Per questo cuore profondo ch'è un abisso
mi servi tu, Lady Macbeth, anima potente nel delitto
sogno d'Eschilo sbocciato col soffio del vento,
o anche tu, grande Notte, figlia di Michelangelo,
che calma torci in una posa strana
le tue forme foggiate per bocca di Titani![4]»

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Giorgio Vasari, Vita di Michelagnolo Buonarroti, in Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, ISBN 978-88-6274-759-2, OCLC 993450831.
  2. ^ a b Michelangelo Buonarroti, Rime, a cura di Ettore Barelli, Milano, 2001, p. 261.
  3. ^ In origine, la prima parola era "Grato", ma nel Vasari, per intervento di Michelangelo stesso, venne sostituito con "Caro"; vedi: Studi di filologia italiana, vol. 48-49, 1990, p. 180.
  4. ^ Charles Baudelaire, I fiori del male e tutte le poesie, collana Grandi Tascabili Economici, cura e traduzione di Claudio Rendina, n. 20, 5ª ed., Roma, Newton Compton, 1996, p. 69, ISBN 88-7983-159-3.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Umberto Baldini, Michelangelo scultore, collana Classici dell'arte, Milano, Rizzoli, 1973.
  • Marta Alvarez Gonzáles, Michelangelo, Milano, Mondadori Arte, 2007, ISBN 978-88-370-6434-1.

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