Nicola Picella

Nicola Picella
Nicola Picella, a destra, parla con Gaetano Azzariti, 1957

Segretario Generale della Presidenza della Repubblica
Durata mandato1º aprile 1954 –
11 maggio 1955
PresidenteLuigi Einaudi
PredecessoreFerdinando Carbone
SuccessoreOscar Moccia

Durata mandato20 gennaio 1965 –
19 luglio 1976
PresidenteGiuseppe Saragat
Giovanni Leone
PredecessorePaolo Strano
SuccessoreFranco Bezzi

Nicola Picella (Forino, 31 ottobre 1911Roma, 19 luglio 1976) è stato un funzionario italiano.

Attività giurisdizionale[modifica | modifica wikitesto]

Dotato di titolo nobiliare di barone, vinse il concorso in magistratura nel 1935; fu uditore alla Corte d'appello di Napoli e poi giudice al tribunale di Padova.

Addetto al massimario della Corte di Cassazione, nel 1940 fu assegnato all'Ufficio legislativo del Ministero di grazia e giustizia per attendere ai lavori del nuovo codice civile. Durante l'occupazione tedesca di Roma si costituì clandestinamente una sorta di "CLN di magistrati", di cui entrò a far parte anche lui[1].

Nel giugno 1944 passò alla Presidenza del Consiglio ed attese all'organizzazione della Consulta nazionale ed agli studi preparatori per l'Assemblea costituente[2].

Nel 1947 divenne referendario del Consiglio di Stato.

Nel 1948 divenne capo dell'Ufficio per i rapporti tra la Presidenza della Repubblica con il Parlamento ed il Governo.

Segretario generale al Senato e alla Presidenza[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1º aprile 1954 divenne segretario generale della Presidenza della Repubblica, sotto la presidenza Einaudi. Rimase nella carica fino al 1955, quando assunse la carica di segretario generale del Senato.

Ritornò al Quirinale dopo 10 anni, come segretario generale di Saragat il 20 gennaio 1965. Secondo alcune rivelazioni, si sarebbe fatto tramite del primo atto di ingerenza del Quirinale nelle competenze proprie dell'Esecutivo in epoca repubblicana, su impulso di Saragat ed in riferimento ai Moti di Reggio[3].

Amico personale di Licio Gelli[4], rimase alla Segreteria generale della Presidenza della Repubblica anche sotto la presidenza di Giovanni Leone.[5] "Freddo, lucido e quasi anglosassone di carattere e di tratto, Picella non si confonde mai nella cerchia dei cortigiani (...), e questo suo apparente isolamento rappresenta in realtà la sua forza anche nei rapporti con le autorità di governo e con gli esponenti della più alta burocrazia. (...) Il potere si esercitava in quegli anni al Quirinale senza bisogno di vistosi segni esteriori e il carisma giuridico di Picella, anche nei confronti degli altri organi dello Stato, era (...) alto e riconosciuto (...). Gli ultimi anni e il declino fisico di Nicola Picella - che portava i segni di una poliomielite giovanile e che aveva salute cagionevole - coincidono con la fase declinante della Presidenza di Giovanni Leone, e vi è indubbiamente un collegamento tra queste due debolezze perché manca a Leone, per molto tempo, il sostegno del prestigio e dell'autorevolezza indiscussa di Nicola Picella"[6].

Alla sua morte, avvenuta mentre era in carica, fu sostituito al vertice amministrativo del Quirinale da Franco Bezzi che lo aveva già rilevato nella carica al Senato nel 1965.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Secondo il ricordo di Peretti Griva, D.R. Peretti Griva, Esperienze di un magistrato, Einaudi, Torino, 1956, p. 34, ne erano parte i giudici Nicola Picella, Salvatore Zingale, Romolo Gabrieli, Italo D’Abbiero, Andrea Lugo; presidente fu dapprima il consigliere Fragali, quindi il consigliere Paolo Silvio Migliori. Secondo lo stesso Zingale il Comitato nazionale dei magistrati si sarebbe costituito a Roma già nell’ottobre ’43 e avrebbe inviato successivamente ai colleghi, probabilmente del Nord, alcune direttive di comportamento: cfr. S. Zingale, La situazione della magistratura italiana nell’attuale dopoguerra (1943-1951), in Civitas, 1951, pp. 29-30.
  2. ^ Gennaro Vaccaro, Panorama biografico degli italiani d'oggi, Roma, Curcio, 1956, p. 360.
  3. ^ Secondo Domenico Nunnari, Storia della rivolta, Reggio Calabria 1970, editore Laruffa, 2000, il Governo di allora, presieduto dal democristiano Emilio Colombo, sarebbe stato sul punto di decidere l'intervento dell'esercito per stroncare la protesta. La fonte citata nel libro è il segretario particolare di Saragat dell'epoca, Costantino Belluscio, secondo cui - dopo una telefonata stentorea del Capo dello Stato a Colombo - Saragat si rivolse al segretario generale della Presidenza della Repubblica Nicola Picella e gli ordinò di richiamare il Governo: «Glielo ripeta. Se l'esercito entra a Reggio, il Capo dello Stato si dimette».
  4. ^ Roberto Fabiani, L'unificazione fra le obbedienze di Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù, su I Massoni in Italia, strano.net, Editoriale l'Espresso, 1978. URL consultato il 16 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 28 giugno 2017).
  5. ^ Concita De Gregorio, Quirinale, un gioco di burattini e burattinai: quando le forze oscure guidano l'elezione, su La Repibblica. URL consultato il 16 gennaio 2020 (archiviato il 16 gennaio 2020).
  6. ^ Sergio Piscitello, Review: Gli 'uomini del Colle' da ieri ad oggi, in Rivista di Studi Politici Internazionali, Nuova Serie, Vol. 78, No. 4 (312) (ottobre-dicembre 2011), p. 624.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie