Miti di nascite divine nelle dinastie egizie

Rilievo raffigurante la regina Ahmose della XVIII dinastia, incinta di Hatshepsut, accompagnata a partorire dal dio Khnum e dalla dea Heket. Tempio funerario di Hatshepsut, Deir el-Bahari.

Gli antichi sovrani egizi Hatshepsut (ca. 1478 - 1458 a.C.) e Amenofi III (ca. 1388 - 1350/1349 a.C.) della XVIII dinastia, e Ramses II (1279 - 1213 a.C.) della XIX dinastia[1][2], affermarono su vari monumenti la propria origine divina per conferire ai propri regni un maggiore prestigio teologico e politico. Già un millennio prima, i primi tre faraoni della V dinastia egizia (2494 - 2345 a.C.[3]) si erano proclamati figli carnali del dio Ra[4]. La formulazione e lo sviluppo del concetto dell'origine sovrannaturale del faraone trovò il suo esempio migliore nell'affermazione del faraone-donna Hashepsut: il mito della concezione mistica e della nascita divina di questa controversa sovrana compare in un ampio ciclo iconografico sulle pareti del suo Tempio funerario a Deir el-Bahari[5][6][7].

V dinastia: Userkaf, Sahura e Neferirkara[modifica | modifica wikitesto]

La V dinastia regnò sull'Egitto dal 2494 a.C. al 2345 a.C.[3], succedendo alla IV dinastia di faraoni prestigiosi e potenti come Cheope, Chefren e Micerino. Come il fondatore della dinastia Userkaf sia giunto al potere non è noto con certezza. Pare tuttavia che i sovrani della nuova casata abbiano voluto legittimarsi accogliendo le speculazioni teologiche del clero di Eliopoli, centro del culto solare[4]: furono proprio questi faraoni a fissare l'uso del quinto e ultimo nome della titolatura cerimoniale dei faraoni, il nome di nascita (nomen) detto "sa-Ra", che significa "figlio di Ra"[4]. La filiazione diretta del faraone dal dio costituì quindi una certezza religiosa inaugurata dalla V dinastia, anche mediante il mito di una ierogamia, cioè il rapporto sessuale tra una divinità e un mortale. Uno dei racconti nel Papiro Westcar, redatto svariati secoli dopo, durante il Medio Regno, tramanda la leggenda delle origini divine dei primi tre faraoni della V dinastia[8]. Racconta che a Cheope sarebbe stata notificata la profezia secondi cui tre figli del supremo dio solare Ra (re degli dei e dio del Sole (identificato principalmente con il Sole di mezzogiorno), veniva ritenuto padre di tutti gli uomini) sarebbero nati dalla sposa di un sacerdote del dio medesimo, residente a Sakhebu. Questi tre fratelli - proseguiva il vaticinio - avrebbero cacciato i discendenti di Cheope dal trono: il faraone della Grande Piramide avrebbe allora cercato di metterli a morte.

«[...] Redjedet è la moglie di un sacerdote di Ra, signore di Sakhebu [...] è incinta dei tre figli di Ra. [...] Allora Iside si pose davanti a lei, Nefti dietro di lei, e Heket affrettò la nascita. Iside disse [al nascituro Userkaf]: "Non essere troppo possente nel suo grembo, in questo tuo nome di Userkaf."»

Comunque, negli ultimi anni, gli egittologi hanno appurato che si tratta di una semplice leggenda (i tre sovrani non erano nemmeno fratelli[10]). Attualmente, le dinamiche che portarono alla fine della IV dinastia e al sorgere della successiva sono sconosciute.

Hatshepsut[modifica | modifica wikitesto]

Statua di Hatshepsut con gli attributi faraonici (la barba posticcia, l'ureo) e il copricapo khat. Ägyptisches Museum und Papyrussammlung, Neues Museum, Berlino.

Crisi dinastica[modifica | modifica wikitesto]

Hatshepsut fu l'unica figlia di re Thutmose I (regno: 1506 - 1493 a.C. circa) e della "Grande sposa reale" Ahmose. Quando re Amenofi I morì senza figli[11], suo successore designato fu Thutmose (già padre di Hatshepsut) apparentemente una figura prominente dell'esercito. Non è chiaro se vi fosse un grado di parentela fra Amenofi e Thutmose; comunque si è ipotizzato che Thutmose potesse esser figlio del principe Ahmose-Sipair, zio paterno di Amenofi I. Indubbiamente Thutmose legittimò il proprio diritto a regnare sposando una probabile sorella di Amenofi I, Ahmose[12], con la quale generò Hatshepsut e sua sorella Nefrubiti. Alla morte di Thutmose I, Hatshepsut era nella posizione migliore per succedere al trono, dal momento che i suoi fratelli erano morti: sembra infatti che Thutmose I l'abbia appuntata come sua erede[13]. Questo progetto sulla successione non ebbe però seguito, poiché il trono passò a Thutmose II il quale, a differenza di Hatshepsut, era di sangue reale solo per parte di padre: a ben vedere, l'autentica erede, in linea di sangue, dei fondatori della XVIII dinastia era la regina Ahmose, figlia dell'eroico liberatore del Paese, re Ahmose I, e appunto madre di Hatshepsut. Hatshepsut dovette accontentarsi di diventare "Grande sposa reale" del fratellastro[14]. Quando Thutmose II morì, pochissimi anni dopo, i suoi unici due figli oggi conosciuti erano ancora in tenerissima età. Come si era già verificato nella generazione precedente, la "Grande sposa reale", Hatshepsut, non aveva generato alcun principe ereditario, bensì una figlia: ciò comportò una crisi di successione[15]. Il principino Thutmose, figlio di Thutmose II e di una semplice concubina o sposa secondaria di nome Iside[16] divenne il nuovo faraone Menkheperra Thutmose, oggi noto come Thutmose III[17]; non doveva avere nemmeno tre anni: a motivo della sua età, la regina vedova Hatshepsut assunse la reggenza dell'Egitto[18]. Tra il 3º e il 7º anno di reggenza[19], Hatshepsut si attribuì arbitrariamente tutti i cinque nomi del protocollo reale[19][20] divenendo, di fatto, faraone. Un'azione così profondamente controversa, del tutto inedita nella storia politica del Paese, necessitava di una forte giustificazione teologica[21].

Ciclo iconografico della nascita di Hatshepsut a Deir el-Bahari[modifica | modifica wikitesto]

Il monumentale ciclo iconografico della concezione e della miracolosa nascita di Hatshepsut si trova nel Tempio funerario della sovrana a Deir el-Bahari[5][22]. La composizione delle immagini e dei testi di tale mito avrebbero evocato la consacrazione con la quale il dio Amon (dio creatore, trascendente e creatosi da sé, protettore dei poveri e degli oppressi e oggetto di una devozione estremamente diffusa), protettore della dinastia, indicato come vero padre di Hatshepsut, l'avrebbe designata a regnare[23].

Il dio Amon esprime le sue intenzioni su Hatshepsut[modifica | modifica wikitesto]

Rilievo raffigurante il dio Amon che protegge e legittima la "figlia" Hatshepsut, sulla sommità di un obelisco che la sovrana fece erigere a Karnak.

All'inizio del mito compare il supremo dio Amon assiso in trono, intento a consultarsi con dodici deità[24] circa una nascita imminente. La scena si svolge in cielo. Amon dice:

«Desidero la compagna [Ahmose] che egli [Thutmose I] ama, colei che sarà la madre autentica del re dell'Alto e Basso Egitto Maatkara, che viva!, Hatshepsut Unita ad Amon. Io sono la protezione delle membra fintanto che ella non si leverà [...] Io le darò tutte le pianure e tutte le montagne [...] Ella guiderà tutti i viventi [...] Io farò cadere la pioggia dal cielo durante il suo tempo, farò che siano dati dei grandissimi Nili alla sua epoca [...] e colui che bestemmierà impiegando il nome di Sua Maestà, farò che muoia sul campo.[25]»

Amon incarica quindi il dio Thot di recarsi sulla terra per osservare la regina Ahmose, futura madre di Hatshepsut, e accertarsi della sua identità. Al suo ritorno, il dio-ibis della sapienza riferisce ad Amon:

«Questa giovane donna di cui mi hai parlato, prendila ora. Il suo nome è Ahmose. Essa è bella più di qualunque altra donna che sia nel Paese. È la sposa di quel sovrano, il re dell'Alto e Basso Egitto Akheperkara [sempre Thutmose I], che viva eternamente![26]»

Unione del dio Amon con la regina Ahmose[modifica | modifica wikitesto]

La regina Ahmose in un rilievo nel Tempio di Deir el-Bahari.

Quindi Amon, assunte le sembianze del faraone Thutmose I, si fa accompagnare da Thot sulla terra[27], introducendosi nottetempo nel palazzo reale (tuttavia, per maggiore chiarezza, i rilievi continuano a raffigurare Amon con il suo solito aspetto di dio). La regina addormentata si sveglia al giungere del dio[28]. L'amplesso tra i due non è mostrato, bensì simboleggiato: Amon e Ahmose siedono uno di fronte all'altra su di un grande letto sostenuto dalle dee Selkis e Neith e lui appoggia al viso di lei il simbolo ankh della vita[28], mentre la regina gli sfiora delicatamente l'altra mano[29]. Per contro alla sobrietà simbolica delle figure, il testo è permeato di un'accesa sensualità, specialmente a partire dal riconoscimento di Amon da parte della regina inebriata:

«Allora Amon, il dio eccellente signore del Trono delle Due Terre, si trasformò e prese l'aspetto di Sua Maestà [Thutmose I], lo sposo della regina. La trovò che dormiva nella bellezza del suo palazzo. L'odore del dio la svegliò e la fece sorridere alla Sua Maestà. Appena egli si avvicinò a lei arse il cuore, e fece in modo che lei potesse vederlo sotto il suo aspetto divino. Dopo che l'ebbe avvicinata strettamente e che lei si fu estasiata a contemplare la sua virilità, l'amore di Amon penetrò il suo corpo. Il palazzo era inondato del profumo del dio, tutti gli aromi del quale venivano da Punt. La Maestà di questo dio fece tutto quello che desiderava, Ahmose gli dette ogni gioia possibile e lo baciò. [...] 'Quanto è grande la tua potenza, è una cosa piacevole contemplare il tuo corpo dopo che ti sei diffuso in tutto il mio corpo [oppure: quando la tua rugiada ha penetrato tutta la mia carne[30]].' E la Maestà del dio fece di nuovo tutto quello che volle di lei.[31]»

Bisogna sottolineare che Hatshepsut non intendeva affatto rinnegare Thutmose I come suo padre carnale: la legittimità del proprio diritto a regnare derivava proprio da lui[32]. Ecco perché, in queste scene, il dio annuncia ufficialmente la futura assunzione del potere regale da parte di Hatshepsut: la sovrana affermava così di far derivare la propria regalità da Thutmose I, ma il diritto divino alla corona dal dio Amon in persona[33]. Infine, sparendo, il dio dichiara solennemente, riguardo ad Hatshepsut appena concepita (è forse il punto focale dell'intero mito[33]):

«Disse Amon, Signore di Karnak: Henemetamon-Hatshepsut è il nome di questa mia figlia.[34] [...] Ella eserciterà una regalità benevola nell'intero Paese. A lei il mio ba, a lei la mia potenza, a lei la mia venerazione, a lei la mia corona bianca[35]! Certamente ella regnerà sui Due Paesi e guiderà tutti i viventi [...] fino al cielo. Io unisco per lei i Due Paesi nei suoi nomi, sul seggio di Horus dei viventi, e assicurerò la sua protezione ogni giorno, con il dio che presiede a quel giorno.[36]»

Intervento del dio Khnum e della dea Heket[modifica | modifica wikitesto]

Khnum e Heket intenti a plasmare e dare vita a un nuovo essere umano, in rilievo nel Tempio di Dendera. Questa iconografia, più tarda, ricalca abbastanza fedelmente la scena corrispondente del Tempio di Hatshepsut (dove, però, le figure sul tornio sono due: il corpo e l'anima della futura sovrana).

Il mito si sposta nelle sfere celeste e prosegue con Amon che incarica Khnum, il dio-vasaio che si credeva modellasse l'umanità sul suo tornio, di plasmare e dare forma al corpo e all'anima (ka) di Hatshepsut:

«Va'! Per modellarla, lei e il suo ka, a partire dalle membra che sono mie. Va'! Per formarla meglio di ogni dio. Forma per me questa mia figlia che ho procreato [...]
[Risponde Khnum] Darò forma a tua figlia [...] Le sue forme saranno più esaltanti di quelle degli dei, nel suo splendore di re dell'Alto e Basso Egitto.[36]»

Khnum risponde:

«[Ad Amon:] Io farò sulla ruota questa tua figlia Maatkara [...] che la sua forma sia fatta come quella degli dei nella sua grande dignità di re dei Due Paesi. [...]
[Ah Hatshepsut sul tornio:] [...] Io ti ho fatto con la carne del dio Signore di Karnak. Io sono venuto [...] per crearti meglio di tutti gli dei [...] Io ti ho concesso di apparire sul trono di Horus come Ra, io ti ho dato di essere al di sopra di tutte le anime viventi, apparendo tu come re del Sud e del Nord, secondo l'ordine di tuo padre Amon, che ti ama.[34]»

Heket, la dea-rana delle nascite, compare in ginocchio davanti al tornio su cui stanno prendendo forma il corpo e l'anima di Hatshepsut, rappresentati come due bambini distinti, e gli avvicina il simbolo ankh della vita al viso[37], come aveva già fatto Amon con Ahmose nella scena dell'amplesso. Questa scena simboleggia e sintetizza la lenta formazione del feto durante la gravidanza. È interessante notare che entrambe le figure del corpo e dell'anima di Hatshepsut hanno genitali maschili: non è la persona della Hatshepsut storica a essere rappresentata, bensì, come ha sottolineato l'egittologa francese Christiane Desroches Noblecourt, "il titolare della funzione regia e il suo ka"[36], cioè il concetto stesso di "faraone". Più legate alla realtà fisica, però, le forme grammaticali nei testi che accompagnano questo ciclo iconografico sono coniugate al femminile.

"Annunciazione" ad Ahmose, nascita divina e presentazione ad Amon[modifica | modifica wikitesto]

Statuetta di Amon in bronzo fuso, risalente al Nuovo Regno. Walters Art Museum, Baltimora.

Successivamente compare di nuovo Thot - ambasciatore degli dei come l'Ermes greco a cui fu successivamente assimilato[38] - al cospetto della regina Ahmose. In piedi uno di fronte all'altra, Thot allunga il braccio verso la donna (un gesto che nell'arte egizia denota l'atto di rivolgere la parola a qualcuno). Ahmose è ritta in piedi, con le braccia distese lungo il corpo, immobilizzata dallo stupore e dall'emozione[39]. Dopo il salto temporale dei nove mesi della gravidanza, Khnum e Heket si recano a prendere la regina Ahmose per mano, per condurla verso la sala del parto pronunciando benedizioni. Il ventre di Ahmose è delicatamente arrotondato (dettagli anatomico assai raro nell'arte egizia)[40][41]. Khnum dice alla partoriente:

«Io avvolgo tua figlia nella mia protezione. Tu sei grande, ma colei che aprirà il tuo grembo sarà più grande di tutti i re esistiti fino a oggi.[41]»

Così come l'amplesso fra Amon e Ahmose, anche la nascita di Hatshepsut è descritta in modo puramente simbolico. La regina compare seduta su un trono arcaico, con la neonata già in braccio, e il trono si trova sulla sommità di due enormi letti a teste di leone, sovrapposti, mentre, alle estremità della scena, Amon e la dea-utero Meskhenet impartiscono benedizioni[42][43]. Queste scena occupa 7 metri di parete[43] ed è affollata di divinità, geni, spiriti e balie divine: Amon, Meskhenet, Iside, Nefti, Bes, Tueret, i geni degli antenati e dei punti cardinali, una dea il cui copricapo è un paniere in cui sono stati deposti il cordone ombelicale e la placenta, e molte altre deità[42][43]. La dea dell'amore e della gioia, Hathor, accoglie Amon che le si è presentato per vedere la sua nuova figlia[44].

«Questo nobile dio venne a vede la sua figlia amata, Maatkara [...] e ciò fu estremamente dolce al suo cuore. [...] Salute a te, figlia mia, nata dalla mia carne, Maatkara, immagine brillante uscita da me. Tu sei il re che regge i Due Paesi, sul trono di Horus, come Ra. [...] Baciarla, abbracciarla, cullarla, perché io l'amo più di ogni cosa.[34]»

Allora il dio, estremamente felice, si stringe la piccola Hatshepsut al petto[45], la riconosce come sua e la conferma nei suoi diritti regali[46]. Verso la conclusione dell'intero ciclo, compaiono dodici geni accovacciati che tengono in braccio ciascuno un'immagine del neonata; aggiungendo a queste le altre due immagini infantili di Hatshepsut, presenti subito accanto fra le braccia di due nutrici, si raggiunge la somma dei quattordici ka reali che si credeva formassero il complesso ka del faraone in terra[47]. Infine, i due grandi geni del latte e dell'inondazione presentano Hatshepsut ad Amon, il quale, insieme a Thot, la purifica con una brocca d'acqua sacra - per poi presentarla come sua erede alle divinità meridionali e settentrionali[47]. Il testo commenta:

«La sua figura era quella di un dio, lei faceva ogni cosa come un dio; il suo splendore era quello di un dio. Sua Maestà diventò una bella giovinetta fiorente come la nuova stagione.[48]»

Amenofi III[modifica | modifica wikitesto]

Amenofi III e sua madre Mutemuia nella copia di un rilievo di Luxor realizzata da Karl Richard Lepsius.

Mentre Hatshepsut ebbe ottimi e palesi motivi per affermare la divinità dei propri natali, meno ovvi possono sembrare i motivi che spinsero Amenofi III, detto "il Magnifico"[52], erede del tutto legittimato del proprio padre Thutmose IV, a emulare in blocco la narrazione della lontana antenata Hatshepsut sulle pareti del Tempio di Luxor[53], da lui restaurato e arricchito[54]. I diritti di Amenofi III a regnare era indubbi, inoltre godette di un regno prospero e contraddistinto dallo splendore artistico - completamente privo di rivalità[55][56]. Su una parete del Tempio di Luxor, nella stanza detta "Camera della nascita", è rappresentato il mito della nascita divina di Amenofi III: questi, per rafforzare non tanto la propria legittimità al trono, quanto la propria natura divina, fece raffigurare la ierogamia, cioè rapporto sessuale tra una divinità e un mortale, della propria madre con il dio Amon[57], presentatosi alla regina Mutemuia dopo aver assunto l'aspetto del marito Thutmose IV[58][59].

Nel rilievo, il dio Amon (dio creatore, trascendente e creatosi da sé, protettore dei poveri e degli oppressi e oggetto di una devozione estremamente diffusa), circondato da un profumo intenso, e dopo aver assunto le sembianze di Thutmose IV, appare a Mutemuia e la feconda[60] in presenza delle dee Selkis e Neith, così come recita il testo che circonda le figure, ricco di particolari[61]. Nella rappresentazione, Mutemuia tiene, tra le sue mani, la mano di Amon che con l'altra le porge al volto l'ankh il cui significato è di farle respirare la vita. Entrambi sono seduti uno di fronte all'altra con le ginocchia che si toccano e sono sostenuti dalle dee Selkis e Neith[61]. Altre scene rappresentate illustrano il dio Amon che assiste Khnum al tornio da vasaio mentre crea Amenofi III con il suo ka e il dio Thot che annuncia alla regina il concepimento del figlio. Non manca l'immagine di Mutemuia condotta da Hathor e Khnum nella stanza della nascita, dove dà alla luce il figlio su un enorme letto affollato di geni e divinità[62].

Copia del ciclo iconografico, nel Tempio di Luxor, raffigurante il "mito" della nascita di Amenofi III. Da sinistra: il dio Thot annuncia a Mutemuia il concepimento; Hathor (o Iside) e Khnum conducono Mutemuia nella stanza della nascita; infine, seduta su un enorme letto, assistita da uno stuolo di divinità e geni, Mutemuia partorisce il futuro Amenofi III.

Ramses II[modifica | modifica wikitesto]

Rilievo raffigurante Ramses II e sua madre Tuia intenti ad adorare Osiride. Kunsthistorisches Museum, Vienna[63].
Colosso di Tuia in granito. Museo Gregoriano Egizio, Città del Vaticano.

Ramses II, detto il Grande, dimostrò un grande affetto per la propria madre Tuia, che fece rappresentare anche sulla facciata del Tempio maggiore di Abu Simbel: la statua della regina madre fu scolpita delle stesse dimensioni di altre donne della famiglia reale e figli di Ramses II. Fu inoltre raffigurata su un colosso del figlio all'interno del Ramesseum (il Tempio funerario di Ramses II) e, ancora, sulle pareti del Tempio medesimo; in una cappella a lei dedicata, Tuia era assimilata alla dea Hathor[64] (dea egizia del cielo, della gioia, dell'amore, della maternità, della bellezza, della musica, della danza, delle terre straniere e della fertilità, e pensavano che assistesse le partorienti. Inoltre, anche le miniere erano poste sotto la sua protezione, così come le sorgenti del Nilo, si credeva che accogliesse le anime nell'aldilà). Alcuni hanno ipotizzato che una così fervida celebrazione della propria madre da parte di Ramses II avesse anche fini politici. Non era necessario che la madre di un faraone fosse di sangue reale (numerosi sovrani, come Thutmose II e Thutmose III, erano nati da concubine o spose secondarie di ignoti natali), però era comunemente accettato che un re potesse rafforzare le proprie pretese al trono in virtù di un legame con una donna di sangue reale: Ramses II, nato prima che il padre divenisse faraone - e forse prima ancora che la propria famiglia salisse al trono[65] - non ebbe una madre regale. Provvide così ad attribuirsi un padre divino formulando il mito della propria nascita divina: oltre che figlio di Seti I, Ramses II si considerò figlio di Amon (dio creatore, trascendente e creatosi da sé, protettore dei poveri e degli oppressi e oggetto di una devozione estremamente diffusa) stesso[2], seguendo i precedenti di Hatshepsut e Amenofi III, a lui sicuramente noti[5]. A Tuia, in quanto oggetto dell'amore e del desiderio del dio supremo, venne così tributata una notevole venerazione.

La storia della nascita miracolosa di Ramses II fu fissata sulle pareti di una cappella, significativamente dedicata alla regina madre Tuia, all'interno del Ramesseum, a Tebe. Il ciclo iconografico riprende abbastanza convenzionalmente i precedenti della XVIII dinastia[66]: Tuia, lasciata sola dalle dame del seguito, siede sul letto di fronte al dio Amon, il quale regge in una mano il simbolo ankh della vita e con l'altra tocca la donna. Il testo, estremamente danneggiato, descrive Tuia come:

«La Madre del Dio, Mut [...] la Madre del Re, Tuia.[66]»

mentre la presenza di Amon così si segnala:

«Il suo aroma era quello della terra degli dei e il suo profumo quello di Punt.[66]»

In questo modo, Ramses II ebbe modo di affermare di essere stato predestinato a regnare e soprattutto di essere egli medesimo un semidio[66]. Anche altri reperti riaffermano la divinità dei natali del faraone: un rilievo nel Complesso templare di Karnak raffigura il piccolo Ramses allattato da una dea, mentre sia a Karnak che nel Tempio funerario di Seti I ad Abido si vede il dio Khnum, vasaio degli dei, intento a plasmare il corpo del futuro re[66]. Un lungo testo risalente al 35º anno di regno di Ramses II, individuato ad Abu Simbel e a Karnak e intitolato "La Benedizione di Ptah a Ramses II", indica invece Ptah come padre celeste del sovrano:

«[...] Parole pronunciate da Ptah-Tatenen, quello delle lunghe piume e dalle corna aguzze, che generò gli dei: "Io sono tuo padre, che ti generai come un dio per agire come Re dell'Alto e Basso Egitto sul mio seggio. Io decreto per te le terre che ho creato, i loro signori ti tributeranno le loro entrate. Essi vengono per recarti il loro tributo, in virtù della grandezza della tua fama [...]»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tyldesley, Ramesses. Egypt's Greatest Pharaoh, Penguin Books, 2001, ISBN 0-14-028097-9. pp. 122-4.
  2. ^ a b (RU) Ramesses II: Anatomy of a Pharaoh: His Family (Specifically, his Women), su touregypt.net. URL consultato il 13 marzo 2017.
  3. ^ a b Shaw, Ian, a cura di. (2000). The Oxford History of Ancient Egypt. Oxford University Press. p. 480. ISBN 0-19-815034-2.
  4. ^ a b c Franco Cimmino, Dizionario delle dinastie faraoniche, Milano, Bompiani, 2003 ISBN 88-452-5531-X. p. 87.
  5. ^ a b c Tyldesley (2001), p. 123.
  6. ^ Cimmino, Franco, Hasepsowe e Tuthmosis III, Rusconi, Milano 1994. ISBN 88-18-70039-1. pp. 75-87.
  7. ^ Christiane Desroches Noblecourt, La regina misteriosa, Sperling & Kupfer, Milano, 2003, ISBN 88-200-3569-3. pp. 117-33.
  8. ^ Cimmino (2003), pp. 87-8.
  9. ^ Cimmino (2003), p. 88.
  10. ^ Aidan Dodson & Dyan Hilton, The Complete Royal Families of Ancient Egypt, Thames & Hudson (2004) ISBN 0-500-05128-3, p. 64.
  11. ^ Dodson, Aidan & Hilton, Dyan. The Complete Royal Families of Ancient Egypt.Thames & Hudson, London, 2004. p.127.
  12. ^ Roerig, Catharine (2006). Hatshepsut from Queen to Pharaoh. New York: The Metropolitan Museum of Art. p. 87.
  13. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 24.
  14. ^ Desroches Noblecourt (2003), pp. 26-7.
  15. ^ Cimmino (2003), pp. 245, 247.
  16. ^ Aidan Dodson & Dyan Hilton, The Complete Royal Families of Ancient Egypt, Thames & Hudson (2004) ISBN 0-500-05128-3, p.139.
  17. ^ Cimmino (2003), p. 247.
  18. ^ Desroches Noclecourt (2003), p. 51.
  19. ^ a b Franco Cimmino, Dizionario delle dinastie faraoniche, Milano, Bompiani, 2003 ISBN 88-452-5531-X. p. 245.
  20. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 89.
  21. ^ Cimmino (1994), p. 75.
  22. ^ Cimmino (1994), p. 76.
  23. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 117.
  24. ^ Nel registro superiore: Osiride, Iside, Horus, Nefti, Seth, Hathor. Nel registro inferiore: Montu, Atum, Shu, Tefnut, Geb e Nut. cfr. Desroches Noblecourt (2003), pp. 118, 360.
  25. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 118.
  26. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 119.
  27. ^ Brunner, Emma (a cura di), Favole e miti dell'antico Egitto, Mondolibri, Milano, 2003. pp. 86-7.
  28. ^ a b Desroches Noblecourt (2003), p. 120.
  29. ^ Brunner (2003), p. 88.
  30. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 121.
  31. ^ Bresciani, Edda, Sulle rive del Nilo, Laterza, Bari, 2000. pp. 129-30. ISBN 88-420-6166-2.
  32. ^ Cimmino (1994), p. 77.
  33. ^ a b Cimmino (1994), p. 78.
  34. ^ a b c Cimmino (1994), p. 79.
  35. ^ La XVIII dinastia era originaria dell'Alto Egitto, simboleggiato dalla corona bianca hedjet
  36. ^ a b c Desroches Noblecourt (2003), p. 122.
  37. ^ Khnum, Heket e Hatshepsut (JPG), su hermajestytheking.com.
  38. ^ Budge, E.A. Wallis (1904). The Gods of the Egyptians Vol. 1. pp. 414-5.
  39. ^ Desroches Noblecourt (2003), pp. 123-4.
  40. ^ a b Desroches Noblecourt (2003), p. 125.
  41. ^ a b Brunner (2003), pp. 91-2.
  42. ^ a b Desroches Noblecourt (2003), pp. 126-8.
  43. ^ a b c Brunner (2003), p. 93.
  44. ^ Brunner (2003), p. 94.
  45. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 128.
  46. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 129.
  47. ^ a b Desroches Noblecourt (2003), p. 132.
  48. ^ Cimmino (1994), p. 80.
  49. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 123.
  50. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 131.
  51. ^ Desroches Noblecourt (2003), p. 127.
  52. ^ Cabrol Agnès, Amenhotep III le magnifique, ed. Le Rocher, Champollion collection, 2000.
  53. ^ Tyldesley (2001), p. 23.
  54. ^ Tyldesley (2001), pp. 23, 123.
  55. ^ Aidan Dodson, Monarchs of the Nile, II edizione, The American University in Cairo Press, 2000. ISBN 978-977-424-600-5. p.91
  56. ^ Cimmino, Franco, Dizionario delle Dinastie Faraoniche, Bompiani, Milano 2003. ISBN 88-452-5531-X. pp. 233-5.
  57. ^ Tyldesley, Joyce. Chronicle of the Queens of Egypt. Thames & Hudson. 2006, p. 114. ISBN 0-500-05145-3.
  58. ^ David O'Connor and Eric. H, Cline, Amenhotep III: Prespectives of his reign, University of Michigan Press, 2001. p.3.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Naville, Edouard. The Temple of Deir El Bahari: Part II. London: Fellow of King’s College, 1897.
  • Naville, Edouard. The Temple of Deir El Bahari: Part III. London: Fellow of King’s College, 1898.
  • Galán, José M., Bryan, Betsy M., Dorman, Peter F. Creativity and Innovation in the Reign of Hatshepsut. Chicago: The Oriental Institute of the University of Chicago, 2014.