Leone (cacciatorpediniere)

Leone
Il Leone fotografato intorno al 1925
Descrizione generale
Tipoesploratore (1924-1938)
cacciatorpediniere (1938-1941)
ClasseLeone
In servizio con Regia Marina
IdentificazioneLE
CostruttoriAnsaldo
CantiereSestri Ponente
Impostazione23 novembre 1921
Varo1º ottobre 1923
Entrata in servizio1º luglio 1924
Destino finaleincagliato ed autoaffondato il 1º aprile 1941
Caratteristiche generali
Dislocamentostandard 2003 t
pieno carico 2203 t
Lunghezza113,4 m
Larghezza10,4 m
Pescaggio3,63 m
Propulsione4 caldaie
2 gruppi turboriduttori su 2 assi
potenza 42.000 hp
Velocità34 (poi 31,5) nodi
Autonomia2.400 mn a 16 nodi
o 530 mn a 31 nodi
Equipaggio10 ufficiali, 194 sottufficiali e marinai
Armamento
Armamento
  • 4 impianti binati da 120/45
  • 2 cannoni da 76/40 AA
  • 6 tubi lanciasiluri in 2 impianti trinati
  • bombe torpedini da getto antisommergibile e torpedini da rimorchio
Note
MottoQuia sum leo
dati riferiti al momento dell’entrata in servizio
dati presi da Storia Militare n. 204, [1], [2] e [3]
voci di cacciatorpediniere presenti su Wikipedia
Cartolina anni'30, raffigurante la Regia Nave Esploratore "Leone"
Cartolina anni'30, raffigurante la Regia Nave Esploratore "Leone"

Il Leone è stato un esploratore e poi un cacciatorpediniere della Regia Marina.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1925 partecipò ad una crociera in acque nordeuropee[1].

Nel 1931 fu sottoposto ad un primo periodo di lavori di rimodernamento che previdero l'imbarco di una centrale di tiro, la sostituzione dei 6 tubi lanciasiluri da 450 mm con 4 da 533 e quella dei due pezzi da 76 mm con 2 mitragliere da 40 mm[2][3].

Prese poi parte ad un'altra campagna navale in Mar Egeo[1].

Nel 1936, in previsione del suo trasferimento in Mar Rosso, subì altri lavori di modifica con la climatizzazione degli interni, apparati per impedire il surriscaldamento dei depositi munizioni, l'eliminazione di un complesso binato da 120 e l'installazione di 4 mitragliere Breda Mod. 31 da 13,2 mm[2].

Tra il 1936 ed il 1938 partecipò alle operazioni in Africa Orientale Italiana[1].

Il 27 aprile 1938, tornato in Mediterraneo, fu danneggiato da un incendio che obbligò ad allagare i depositi munizioni per impedirne l'esplosione[1].

Sempre nel 1938 venne declassato a cacciatorpediniere[3].

Alla data dell'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale apparteneva alla V Squadriglia Cacciatorpediniere con base a Massaua, insieme ai gemelli Tigre e Pantera. Comandante della nave era il capitano di fregata Uguccione Scroffa[4].

Nella mattinata del 27 giugno 1940 salpò da Massaua insieme al gemello Pantera ed alla vecchia torpediniera Acerbi per soccorrere il sommergibile Perla, che si era incagliato in seguito ad esalazioni di cloruro di metile che avevano intossicato gran parte dell'equipaggio; dovette però ben presto invertire la rotta e tornare in porto perché in avaria[5][6].

Sempre in giugno prese a bordo parte dell'equipaggio di un altro sommergibile, l'Archimede, i cui uomini, come quelli del Perla, erano stati avvelenati dal cloruro di metile[1].

Il 19 settembre lasciò Massaua insieme al Pantera ed ai più piccoli Battisti e Manin per attaccare il convoglio «BN 5» (23 mercantili scortati dall'incrociatore leggero HMNZS Leander e dagli sloop Auckland, Yarra e Parramatta), ma rientrò in porto il 21, senza averlo individuato[7].

Il 21 ottobre 1940, nel corso di un'altra missione di intercettazione del traffico nemico, attaccò, alle 2.19 di notte, insieme al gemello Pantera ed ai più piccoli cacciatorpediniere Nullo, Battisti e Manin, il convoglio britannico «BN 7», composto da 32 mercantili con la scorta dell'incrociatore leggero HMNZS Leander, del cacciatorpediniere HMS Kimberley e degli sloops Yarra (australiano), Auckland (britannico) e Indus (indiano)[8]. Il combattimento fu sfavorevole alle navi italiane che dovettero rinunciare all'attacco e ripiegare coprendosi la ritirata con una cortina fumogena, mentre il Nullo, rimasto isolato e rallentato da un'avaria al timone, fu affondato dopo un violento scontro con il Kimberley[8].

Il 3 dicembre fu inviato – assieme a Tigre, Sauro e Manin ed al sommergibile Ferraris – alla ricerca di un convoglio, che non venne però individuato[9].

Nella notte tra il 2 ed il 3 febbraio 1941 attaccò infruttuosamente, unitamente a Tigre e Pantera, un convoglio britannico[10].

Si fece poi evidente l'ormai imminente caduta dell'Africa Orientale Italiana. In vista della resa di Massaua, fu organizzato un piano di evacuazione delle unità dotate di grande autonomia (mandate in Francia od in Giappone) e di distruzione delle restanti navi[11][12][13]. I 6 cacciatorpediniere che formavano le squadriglie III (Battisti, Sauro, Manin) e V (Tigre, Leone, Pantera) non avevano autonomia sufficiente a raggiungere un porto amico, quindi si decise il loro impiego in una missione suicida: un attacco con obiettivi Suez (Tigre, Leone, Pantera) e Porto Said (Sauro, Manin, Battisti)[11][12]. Se non fossero state in grado di proseguire, le unità non sarebbero rientrate a Massaua (dove peraltro non avrebbero avuto altra sorte che la cattura o l'autoaffondamento, in quanto la piazzaforte cadde l'8 aprile 1941), ma si sarebbero invece autoaffondate[11][12][13].

La V Squadriglia partì per la sua missione il 31 marzo[11][12][13][14]. Durante la notte tra il 31 marzo ed il 1º aprile, tuttavia, dopo poche ore di navigazione, il Leone finì incagliato su due spuntoni di una scogliera madreporica sommersa che non era segnata dalle carte; nello scafo si aprì un grosso squarcio e frattanto si sviluppò a prua (dov'era avvenuto l'urto) un violento incendio che divenne indomabile[1][11][12][13][14]. L'equipaggio dovette abbandonare la nave dopo aver avviato le manovre di autoaffondamento; fu tratto in salvo dal Pantera, che accelerò l'affondamento della nave gemella con il tiro dei suoi cannoni[1][11][12][13][14]. Alle cinque di mattina del 1º aprile il Leone affondò 13-15 di miglia a settentrione di Awali Hutub, un'isola a nord dell'arcipelago delle Dahlak[1][11][12][13][14].

Il Leone aveva effettuato in tutto 10 missioni di guerra, percorrendo complessivamente 2388 miglia[1].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i Cacciatorpediniere Leone, su trentoincina.it.
  2. ^ a b Cacciatorpediniere classe Leone, su regiamarinaitaliana.it (archiviato dall'url originale il 18 giugno 2012).
  3. ^ a b Pier Paolo Ramoino, Gli esploratori italiani 1919-1938, in Storia Militare, n. 204, settembre 2010, pp. 19-20.
  4. ^ Informazioni Cacciatorpediniere Leone, su Betasom - XI Gruppo Sommergibili Atlantici..
  5. ^ Sommergibile Perla, su xmasgrupsom.com.
  6. ^ Giorgio Giorgerini, Uomini sul fondo. Storia del sommergibilismo italiano dalle origini ad oggi, Mondadori, 2002, p. 411, ISBN 978-88-04-50537-2.
  7. ^ Battle of Britain, September 1940, su naval-history.net (archiviato il 10 giugno 2016).
  8. ^ a b (EN) HMS Leander british light cruiser WW e Mediterranean Submarines, October 1940 su naval-history.net'.
  9. ^ (EN) U-boat Happy Time, December 1940, su naval-history.net.
  10. ^ (EN) Force H, February 1941, su naval-history.net.
  11. ^ a b c d e f g Alberto Rosselli, Le operazioni militari della flotta italiana del Mar Rosso giugno 1940 - aprile 1941, su La Regia Marina nella Seconda Guerra Mondiale (archiviato il 23 marzo 2014).
  12. ^ a b c d e f g Ultima missione in Mar Rosso e Informazioni Cacciatorpediniere Leone su betasom.it.
  13. ^ a b c d e f Operazioni navali in Africa Orientale Italiana.
  14. ^ a b c d I relitti delle Dahlak, su ilcornodafrica.it.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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