Giuditta e Oloferne (Caravaggio)

Giuditta e Oloferne
AutoreMichelangelo Merisi da Caravaggio
Data1599-1602 circa
Tecnicaolio su tela
Dimensioni145×195 cm
UbicazioneGallerie nazionali d'arte antica, Palazzo Barberini, Roma

Giuditta e Oloferne è un dipinto a olio su tela (145x195 cm) realizzato nel 1602 circa dal pittore italiano Caravaggio.

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto, conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Roma, fu commissionato dal banchiere Ottavio Costa, che lo raccomandò caldamente ai suoi eredi nel suo testamento.[1] In questo quadro Caravaggio rappresenta l'episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro Oloferne da parte della vedova ebrea Giuditta, che voleva salvare il proprio popolo dalla dominazione straniera[2]. Giuditta è raffigurata intenta a decapitare Oloferne con una scimitarra, mentre alla scena assiste la vecchia serva, Abra, che sorregge con le mani il drappo contenente il cesto nel quale va conservata la testa.

Nel ruolo di Giuditta venne raffigurata forse la cortigiana Fillide Melandroni, amica dell'artista[3]. Studi recenti, invece, propongono convincentemente come modella della Giuditta la cortigiana romana Maddalena Antognetti[4]. Non ci sono molti elementi che contribuiscono a rendere nota l'ambientazione della scena, lo sfondo è scuro, è presente un panneggio rosso in alto a sinistra e una parte minima del letto su cui giace Oloferne. Caravaggio è rimasto fedele al clima dell'episodio biblico, facendo decapitare il generale con una daga mediorientale, ma ha anche attualizzato la scena, poiché l'abbigliamento di Giuditta è quello tipico delle donne a lui contemporanee; è possibile che il pittore si sia anche ispirato ad ambientazioni sacre di tipo teatrale rappresentate a Roma e comunque il pittore, ricevute commissioni più importanti e passato da una visione statica ad una dinamica, come ad un aspetto più drammatico della scena, accentuata dal fondo nero e dalla luce che rivela i contrasti dei volti e gli stati dell'animo, doveva aver certamente ripreso considerazioni sugli affetti ed i moti d'animo di ascendenza leonardiana diffusi dal lombardo Giovan Paolo Lomazzo e gli studi sulla fisiognomica e la gestualità, che stavano tanto alla base del teatro quanto della stessa pittura[5].

Il pittore fissa l'acme emotiva nell'immagine di Oloferne: lo sguardo vitreo farebbe supporre che sia già morto, ma lo spasmo e la tensione dei muscoli indurrebbero a pensare il contrario. Giuditta, invece, sembra adempiere al suo compito con molta riluttanza: le braccia sono tese, come se la donna volesse allontanarsi il più possibile dal corpo di Oloferne, e il suo volto è contratto in un'espressione mista di fatica e orrore. Accanto a Giuditta, Caravaggio ha inserito una serva molto vecchia e brutta, come simbolico contraltare alla bellezza e alla giovinezza della vedova. In questo modo l'autore sottolinea (con un artificio artistico legato alla fisiognomica, caro anche a Leonardo[6]) le differenze tra le due figure e fa risaltare maggiormente la prima, che incarna grandi valori morali.

Infatti, la poca credibilità di Giuditta come vedova e la tensione fisica minima con cui ella, turbata, taglia la testa ad Oloferne, confermano il forte valore simbolico di tale rappresentazione, diversamente, per esempio, dal dipinto di Artemisia Gentileschi, con il medesimo soggetto, dove l'azione è più mossa, è una vera lotta fra i due sessi, risolta dalla grande pittrice in senso più personalistico (venne stuprata da un amico del padre). Infatti Giuditta, presentata come simbolo di salvezza che Dio offre al popolo ebraico, assurge anche a simbolo della Chiesa stessa e del suo ruolo salvifico, ulteriormente testimoniato dal colore bianco della camicia della donna, che evoca la purezza. Tuttavia non va ignorato, sempre in senso simbolico sia il fatto che il volto di Oloferne è un possibile ritratto del pittore, sia l'interpretazione in chiave simbolico-psicologica, in cui l'orrore e l'urlo di spavento e di dolore del generale, sono una rappresentazione, appunto simbolica, della paura e della castrazione, che la decapitazione (spesso presente nell'opera del Caravaggio) evoca in modo drammatico[7].

Dall'analisi radiografica si può evincere che in una prima raffigurazione Giuditta era a seni nudi, ma non è chiaro se Caravaggio abbia voluto seguire una tradizione iconografica che vedeva nella nudità un senso di eroismo e di purezza connesso con il sacro (Giuditta nuda è presente in statuine, come quella di alabastro di Konrad Meit del 1525, o in disegni come quello di Hans Sebald Beham del 1547) oppure abbia voluto accentuare, in questo modo il carattere provocante, seducente dell'eroina; aspetto che resta, peraltro anche dopo la raffigurazione del corpetto coprente, probabilmente per cause d'ordine morale e di autocensura, che, mostra comunque, in trasparenza, il seno dell'eroina, sudato per lo sforzo messo nell'azione violenta, risultando così ancora più seducente.[8]

Si dice che Caravaggio abbia dipinto il quadro pensando alla storia di Beatrice Cenci che, insieme alla matrigna e al fratello, uccisero il padre, dopo averlo addormentato con l'oppio[9]. Anche per questa ragione la tela è stata ritenuta dipinta nel 1599 circa (anno in cui Beatrice fu giustiziata). Tuttavia è possibile legarne la commissione a una ricevuta di pagamento, da parte di Ottavio Costa a Caravaggio per un quadro in fase di realizzazione, datata 21 maggio 1602 e conservata presso l'Archivio di Stato di Siena[10].

La presunta seconda tela di Giuditta e Oloferne[modifica | modifica wikitesto]

Giuditta e Oloferne
AutoreMichelangelo Merisi da Caravaggio (attribuzione)
Data1600-1610 circa
Tecnicaolio su tela
Dimensioni144×173,5 cm
UbicazioneCollezione privata

Nel 2014 un quadro raffigurante un'altra versione del dipinto e ottimamente conservato, è stato ritrovato nel soffitto di un'antica abitazione a Tolosa, nascosta dentro un'intercapedine, durante i lavori per una perdita d'acqua. Il quadro appartiene ai discendenti di un ufficiale napoleonico ed è stato presentato alla stampa il 12 aprile 2016. Secondo Eric Turquin, l'opera, in attesa di ulteriori esami, potrebbe esser stata realizzata tra il 1600 e il 1610. Si tratterebbe della seconda Giuditta e Oloferne, composta da Caravaggio a Napoli, scomparsa nel corso del XVII secolo. Del dipinto finora creduto perduto esiste una copia datata 1607 - conservata a Napoli a Palazzo Zevallos e appartenente alla Collezione d'arte del Banco di Napoli - realizzata da Louis Finson. Il pittore fiammingo trascorse alcuni anni in Italia e risiedette a Napoli nel corso del 1604; la Giuditta e Oloferne di Caravaggio sarebbe citata pure nel testamento del fiammingo[11]. La paternità di questo quadro, acquistato nel 2019 da un collezionista statunitense[12], è tuttavia discussa, poiché molti critici rifiutano di accreditarla a Caravaggio.[13]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Il dipinto di Caravaggio è citato da Giovanni Baglione, Vite de' pittori, scultori et architetti, Roma, 1642, ed.mod.1995, che indica come la commissione fu per i signori Costa. L'acquisto dell'opera commissionata, pagata un prezzo molto alto, ben 400 ducati, venne fatto dal banchiere Ottavio Costa; la Giuditta è ricordata nel Testamento di Ottavio del 1632 e citata nell'Inventario dei beni del 1639 che riporta: "Un quadro grande con l'immagine del Judith fatto da Michelangelo Caravaggio con la sua cornice e taffetà dinanzi" (cioè incorniciato e ricoperto da un drappo di seta). Sconosciuto sino al 1950, venne segnalato dal restauratore Pico Cellini a Roberto Longhi (l'aveva visto presso la famiglia Coppi) che lo resentò alla Mostra su Caravaggio dell'anno dopo. Per le vicende della Giuditta e del banchiere Ottavio Costa come collezionista in rapporto a Caravaggio, cfr. soprattutto Maria Cristina Terzaghi, Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera Costa, L'Herma di Bretschneider, Roma, 2007, pp. 106-109, 142-144; si veda anche il precedente Luigi Spezzaferro, Ottavio Costa as a Patron of Caravaggio, in "The Burlington Magazine", XVI, 859, october 1974, pp. 579-585 e Josepha Costa Restagno, Ottavio Costa (1554-1639), le sue case e i suoi quadri, Albenga, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 2004, pp. 64-69 e 94-ss. con pubblicazione integrale dei testamenti del Costa.
  2. ^ La storia della giovane, bella e eroica israelita che uccide il generale babilonese (non assiro, come comunemente si crede), Oloferne, che teneva sotto assedio la città di Betulia, al tempo del re Nabuconodosor, è narrata nella Bibbia, nel Libro di Giuditta (Gt. 13, 7-8).
  3. ^ Fillide Melandroni, nata a Siena nel 1582, venne a Roma nel 1593 quando è documentata come prostituta; protetta da Ranuccio Tomassoni si legò in seguito a Caravaggio divenendo sua modella. Per il pittore avrebbe posato per alcuni dipinti noti in cui la sua fisionomia inconfondibile ritorna: Giuditta e Oloferne, Marta e Maddalena, S. Caterina d'Alessandria, il Ritratto della Cortigiana Fillide, Natività con i santi Lorenzo e Francesco. Quest'ultimo, commissionato dal marito, il drammaturgo Giulio Strozzi, nel 1603 e noto solo da una copia a colori perché disperso nel 1945 quando si trovava nella Geldamalgalerie di Berlino, è servito per una utile comparazione delle altre fisionomie, cfr. su Fillide, Fiora Bellini, Melandroni Fillide, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2009, vol. 73, alla voce. Su Fillide e Caravaggio, cfr., anche Peter Robb, M. L'enigma Caravaggio, Milano, Mondadori, 2001, ed. it., pp. 98-106, 112, ,118-119.
  4. ^ cfr. Fiora Bellini, La modella e il «pittor celebre»: una storia in sette quadri, in Riccardo Bassani, La donna del Caravaggio. Vita e peripezie di Maddalena Antognetti, Roma, Donzelli, 2021, pp. 206-210
  5. ^ Sulla fisionomia e la gestualità presente in testi come quelli di Gabriele della Porta, poligrafo e drammaturgo napoletano e di Giovanni Bonifacio, avvocato, uomo di teatro e studiosi dei gesti, come sull'analisi dei moti e stati d'animo nella trattatistica antropologica e teatrale del Seicento, cfr., Francesca Gualandri, Affetti, passioni, vizi, virtù la teoria dei gesti nel teatro del Seicento, Milano, Peri, 2001, con riferimenti anche a Caravaggio e alla Giuditta, cap. III e Flavio Caroli, Storia della fisiognomica da Leonardo a Freud, Milano, Electa, 2009. Teatro o meglio rappresentazioni e azioni teatrali erano sia a palazzo Del Monte che a Palazzo Giustiniani (in località Bassano, in palazzo Giustiniani si trova ancora una stanza del teatro) e teatro sacro si faceva negli oratori (come quello della Vallicella degli Oratoriani Filippini), nelle chiese e sui sagrati. In una conferenza del 2011, Silvia Danesi Squarzina ha accennato al "teatro della crudeltà" a proposito della Giuditta e alla via di ricerca che potrebbe aprirsi per i rapporti fra pittura e didascalie di testi di Marlowe o Shakespeare, già note alla fine del Cinquecento, cfr. Silvia Danesi Squarzina, Caravaggio e il teatro della crudeltà, Conferenza del 2011 di Villa Bardini, Cassa di Risparmio di Firenze, 2011,www. MuseoAnnigoni.it; Silvia Carandini, Teatro e spettacolo nel Seicento, Roma-Bari, Laterza, 2009, Capp. II-III. Sul teatro di Bassano, o meglio sulla " camera teatrale" ancora conservata in Palazzo Giustiniani, cfr. Silvia Danesi Squarzina, Caravaggio e i Giustiniani, in Michelangelo Merisi da Caravaggio, La vita e le opere attraverso i documenti a c. di Stefania Macioce, Roma, 1995, pp. 105, 111 note 70-71. A trovare Vincenzo Giustiniani, immaginiamo anche a Bassano, era il grande scenografo barocco, molto legato alla tradizione scenografica italiana, Inigo Jones che veniva a seguito di Lor Arundel, cfr., ibidem, p. 111, n. 71, che cita, J. Hess, Lord Arundel in Rom, in English Miscellany, I, 1950, pp. 197-220.
  6. ^ Cfr., Luciana Borsetto, "Trionfante e vittoriosa. Icone di Giuditta nell'epica del Seicento. Giuditta ed altre eroine bibliche tra Rinascimento e Barocco, Padova. Uev, 2011, pp. 141-165. Paolo Cosentino, "Vedova, puttana e santa. Giuditta figura del desiderio, Between, III, 5 (2013 9, [http:// www.Betwen Journal.it). Luigi Squarzina, Una, due, tre, cento Giuditte, in "Lettere Italiane", n.1 (1999), pp. 52-69.]
  7. ^ Sulla luce della salvazione, cfr., Maurizio Calvesi, La realtà del Caravaggio, Torino, Einaudi, 1990. Su Giuditta figura di Maria, e iconona della ambiguità e dell'eroismo, cfr. Franca Angelini, Variazioni su Giuditta, in Luoghi dell'immaginario barocco. Atti del Convegno di Siena, Napoli, Liguori, 2001, pp. 135-145. Sull'ambiguità di Giuditta e su Giuditta come immagine della seduzione, Paolo Cosentino, L'ambiguo potere della virgo. Giuditta tra trattatistica e tragedia nel Cinquecento italiano, in Roma, Donna, Libri tra Medioevo e Rinascimento, Roma, 2004, pp.385-407. Sull'interpretazione psiconalitica della decapitazione e su Artemisia e Caravaggio, cfr., Margarita Stocker, Judith. Sexual Warrior, London, 1998, pp. 179-181, Su Artemisia, p. 13 e Atti di un processo per stupro, Milano, 1981. Tiziana Agnati, Francesca Torres, Artemisia Gentileschi la pittura della passione, Milano, 1998. Sulla interpretazione della decapitazione come castrazione e su Caravaggio, cfr., Psicoart. La psicologia dell'arte a Bologna, 2006-2007, www. psicoart.unibo.it. Per Oloferne-Caravaggio come autoritratto ferito, cfr., Sara Ugolini, L'anima ferita dell'artista e le ferite dell'autoritratto, in Autoritratto, psicologia e dintorni, a c. Stefano Ferrari, Bologna Clueb, 2004, pp. 72-76.
  8. ^ Sulla radiografia e la tecnica di realizzazione della Giuditta, cfr., Roberta Lapucci, La tecnica del Caravaggio: materiali e metodi. in Caravaggio.Come nascono i capolavori, Catalogo della Mostra a cura di Mina Gregori, Milano, 1991, p. 197. È naturale che ad aver posato a seno nudo sia stata la stessa Fillide (Il Baldinucci nella sua opera Notizie d'opere di disegno, in Ia ed nel 1681, aveva sottolineato come negli studi dei pittori non mancava una stufa necessaria a "dipignervi l'ignudo nel tempo d'inverno" (ed. moderna, Roma 1976); le accademie del disegno, a cominciare da quella di Firenze nacquero, malgrado le rigide regole imposte dalla Controriforma, proprie come " Accademie di nudo". La sessione XXV del Concilio di Trento del 3,12.1563, aveva dettato le norme sulle immagini sacre e Giovan Andrea Gilio, in polemica con Michelangelo ed i suoi "nudi", aveva precisato che i pittori prima di lui non avevano mai raffigurato la Vergine nuda, né le sante eccezion fatte per le martiri che però velavano le loro "vergogne"; in questa direzione il Paleotti nei capp. XVI e XX del III libro del suo Discorso intorno alle immagini sacre, aveva disquisito "Delle figure ignude, e quanto agli occhi casti debbano essere schifate" , su questi importanti aspetti, cfr., Ferdinando Bologna, L'incredulità del Caravaggio e l'esperienza delle "cose naturali", Torino, 1992, pp. 50-58. Paolo Prodi, Ricerche sulla teoria delle arti figurative nella Riforma cattolica, in " Archivio italiano per la storia della pietà ", IV, 1962, pp. 209-212.
  9. ^ Caravaggio si trovava, probabilmente, insieme ad altri amici pittori e Orazio Gentileschi con la figlia Artemisia e Guido Reni, a Ponte S. Angelo quando, nel 1599, venne giustiziata la parricida Beatrice Cenci con la matrigna ed un fratello, cfr. Norberto Valeriani, Milena Bacchiani, Beatrice Cenci,Milano, Rusconi, 1981. In ogni caso la Relatione del 1599 della Biblioteca Apostolica Vaticana, parla diffusamente e con descrizioni raccapriccianti della esecuzione di Beatrice e dei suoi familiari (BAV, Vat. Lat.9727 citato da Bassani-Bellini, Caravaggio assassino, Roma, Donzelli, 1994, p. 89).
  10. ^ M. C. Terzaghi, Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa, Roma, 2007.
  11. ^ Benedetta Perilli, «Parigi, il mistero del Caravaggio ritrovato in soffitta: le prime immagini», 12 aprile 2016, la Repubblica.it
  12. ^ (EN) Mystery Buyer of Work Attributed to Caravaggio Revealed, su nytimes.com. URL consultato il 19 luglio 2019.
  13. ^ (EN) Is That a Real Caravaggio? It’s All in the Detail, su nytimes.com. URL consultato il 19 luglio 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Norberto Valeriani, Milena Bacchiani, Beatrice Cenci, Milano, Rusconi, 1981
  • AA.VV., a c. di Mina Gregori, Caravaggio. Come nascono i capolavori, Milano, 1991
  • Riccardo Bassani, Fiora Bellini, Caravaggio assassino, Roma, Donzelli, 1994, ISBN 88-7989-100-6
  • Paolo Cosentino, Vedova, puttana e santa: Giuditta icona del desiderio, www.between./ Giuditta/ Journal.it
  • Luciana Borsetto, Trionfante e vittoriosa. Icone di Giuditta nell'epica del Seicento, Padova, Ued, 2011
  • Franca Angelini, Variazioni su Giuditta, in AA.VV., Luoghi dell'immaginario barocco, conv. di Siena, Napoli, Ligori, 2001, pp. 135-145
  • Maria Cristina Terzaghi, Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2007.
  • Silvia Carandini, Teatro e spettacolo nel Seicento, Bari-Roma, Laterza, 2009
  • Rossella Vodret, Giuditta che taglia la testa a Oloferne (scheda), in Claudio Strinati (a cura di), Caravaggio (Catalogo della Mostra tenuta a Roma nel 2010), Milano, Skira, 2010, pp. 97-105, ISBN 978-88-572-0601-1.
  • Silvia Danesi Squarzina, Caravaggio e il "Teatro della crudeltà", Conferenza del 2011 a Villa Baldini, Firenze, 2011
  • Michele Cuppone, “un quadro ch’io gli dipingo”? Una nota sulla Giuditta e Oloferne di Caravaggio, News-Art.it, 4 maggio 2016
  • Gianni Papi, Riflessioni sui dipinti di Caravaggio per Ottavio Costa, sulle copie e sulla nuova Giuditta di Giuseppe Vermiglio, in Da Caravaggio. Il San Giovanni Battista Costa e le sue copie, a cura di V. Siemoni, Empoli 2016.
  • Benedetta Perilli, Parigi il mistero del Caravaggio ritrovato in soffitta: le prime immagini, 12 aprile 2016 su La Repubblica
  • R. Bassani, La donna del Caravaggio. Vita e peripezie di Maddalena Antognetti, Roma, Donzelli, 2021. ISBN 978-88-5522-238-9
  • F. Bellini, La modella e il «pittor celebre»: una storia in sette quadri, in R. Bassani, La donna del Caravaggio. Vita e peripezie di Maddalena Antognetti, Roma, Donzelli, 2021. ISBN 978-88-5522-238-9
  • Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta, catalogo della mostra (Roma, Gallerie nazionali di arte antica, Palazzo Barberini, 2021-2022), a cura di Maria Cristina Terzaghi, Roma, Officina Libraria, 2021

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