Fonti e storiografia su Annibale

Voce principale: Annibale.
Un busto di marmo, ritenuto di Annibale, ritrovato a Capua; alcuni storici hanno messo in dubbio la sua autenticità[1]

Per fonti e storiografia su Annibale si intendono le principali fonti (letterarie, numismatiche, archeologiche, ecc.) contemporanee alla vita del condottiero cartaginese, nonché la descrizione degli eventi di quel periodo e l'interpretazione datane dagli storici, formulandone un chiaro resoconto (logos), grazie anche all'utilizzo di più discipline ausiliarie.

Fonti biografiche[modifica | modifica wikitesto]

Le principali fonti per la vita e il ruolo di Annibale sono rappresentate dalla biografia di Cornelio Nepote (De viris illustribus), oltre a Polibio (Storie), Tito Livio (Ab Urbe condita libri), Appiano di Alessandria (Historia romana), Cassio Dione Cocceiano (Historia romana), Velleio Patercolo (Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo), e le biografie di Plutarco su Fabio Massimo, Claudio Marcello e Scipione Africano.

Giudizi storici[modifica | modifica wikitesto]

Annibale nella storiografia antica[modifica | modifica wikitesto]

La punica fides[modifica | modifica wikitesto]

Le vicende della vita di Annibale sono state ampiamente trattate dagli storici greci e latini: in particolare quest'ultimi nel definire la figura del condottiero cartaginese usano le espressioni militares virtutes e punica fides volendo far risaltare come accanto all'apprezzamento delle indiscusse doti militari convivesse nei suoi confronti un giudizio di diffidenza e disprezzo per il tradimento della parola data, atteggiamento questo ritenuto tipico dei cartaginesi (punica fides) e giudicato altamente disonorevole dai Romani che «con il nemico [sembrano instaurare] un rapporto che, nell’ostentato ripudio di ogni fellonia, richiama alla mente l’etica cavalleresca di età medioevale»[2] Un comportamento di lealtà che valeva nei confronti di popoli ritenuti simili giuridicamente e moralmente ai Romani, altrimenti non vi era iustum bellum ma latrocinium, una violenza caotica tipica dei ladroni di strada.

Anche i Romani però, ammaestrati dalle esperienze passate, dovranno imparare a usare la menzogna e a considerare che nell'arte della guerra rientrano anche la furbizia e la frode[3]. Dopo la sconfitta del Trasimeno, i Romani instaurarono un nuovo culto alla dea dell'accortezza Mens[4][5] collegata a Venere, madre di Enea, il pio eroe, capostipite dei Romani, dotato di ingegno e benvoluto dagli dei, da contrapporre agli inganni cartaginesi ispirati alla graeca fides di Ulisse.[6][7]

Le militares virtutes[modifica | modifica wikitesto]

In genere gli storici antichi concordano sul fatto che Annibale si fosse proposto un obiettivo troppo grande per le sue forze e che la sua "superbia" alla fine fosse stata punita con la sconfitta. Così la pensa Giovenale che giudica transeunte la gloria umana dei grandi personaggi con la locuzione Expende Hannibalem, pesa Annibale nei grammi di cenere che ne sono rimasti.[8]

Cornelio Nepote lo esalta come condottiero di pari valore alla forza di Roma:

«...non si può negare che Annibale di tanto abbia primeggiato in sagacia fra tutti gli altri condottieri, quanto il popolo romano eccelle per forza d’animo su tutte le nazioni»

, alla fine fu sconfitto perché abbandonato e tradito dai suoi stessi concittadini così che «l’ostilità di molti soverchiò il valore di uno solo»[9].

Diodoro Siculo giudica non solo Annibale ma anche il padre Amilcare[10] come grandi comandanti cartaginesi[11] e in particolare

«Annibale era un combattente nato, e dal momento che era stato educato sin da piccolo alla pratica delle tecniche militari e aveva passato molti anni negli accampamenti, a fianco di grandi comandanti, acquistò molta esperienza negli scontri bellici. Poiché dunque era stato fornito dalla natura di grande sagacia, e aveva acquistato abilità strategica per il lungo tempo di pratica guerresca, si riponevano in lui grandi speranze[12]»

A queste doti Annibale poteva inoltre aggiungere la sua abilità nel tenere uniti i diversi popoli che facevano parte del suo esercito.[13].

Famoso è il ritratto di Annibale tracciato dallo storico romano Tito Livio, che descrisse vizi e virtù del grande condottiero cartaginese:

«Massima era la sua audacia nell'affrontare i pericoli, massima la sua prudenza negli stessi, da nessun disagio il suo corpo poteva essere affaticato, né il suo coraggio poteva essere vinto. [...] Era Annibale il primo tra i fanti ed i cavalieri. Egli nell'avviarsi alla battaglia precedeva tutti, e finito lo scontro tornava per ultimo.»

Egli aveva però anche notevoli vizi secondo lo storico:

«... una feroce crudeltà, una perfidia più che cartaginese, niente di vero o santo, nessun rispetto per la religione, nessun timore per gli dei, nessuno per il giuramento.»

Lo stesso Livio però concorda con Appiano[14] nel riferire che Annibale alla fine ebbe una sorta di rispetto religioso quando decise di non attaccare Roma per obbedire a una divinità:

«In timor religioso si volse questo fatto presso i Punici, e si narra che fu udito Annibale dichiarare che a lui negavano gli dèi ora la volontà ora la fortuna di prendere Roma[15]

Il giudizio storico di Polibio[modifica | modifica wikitesto]

Lo storico greco Polibio pur riferendo che:

«È certo che nei suoi confronti prevalse, tra i Cartaginesi, la fama di avaro, tra i Romani, quella di essere crudele.»

tenta di scrivere una storia "pragmatica" neutrale e oggettiva, emettendo nel complesso un giudizio storico positivo su Annibale e non dando molto credito alle accuse contro di lui.

Polibio, pur essendo ostaggio greco a Roma, entrato nel circolo degli Scipioni – acerrimi nemici del cartaginese – ne loda le qualità di condottiero:

«Nessuno potrebbe non approvare il modo di comandare, il valore e la forza dimostrati da quest'uomo, se considerasse la lunghezza di questo periodo, e facesse attenzione alle battaglie grandi e piccole, agli assedi, alle defezioni delle città, alle difficoltà delle situazioni e inoltre alla grandezza dell'intero piano e della sua attuazione per il quale, avendo Annibale combattuto per sedici anni senza interruzioni contro i romani in Italia, non lasciò mai le sue truppe allontanarsi dal campo di battaglia: invece tenendole unite sotto il suo controllo come un bravo timoniere, fece attenzione affinché uomini così numerosi non si sollevassero contro di lui o gli uni contro gli altri anche se impiegò soldati che non solo non appartenevano allo stesso popolo ma addirittura a razze diverse...»

Polibio in conclusione non esita a dichiarare la sua profonda ammirazione per Annibale giudicato unico protagonista degli eventi storici che coinvolsero Roma e Cartagine:

«responsabile degli eventi accaduti ad entrambi i popoli, ovvero ai Romani e ai Cartaginesi, fu un solo uomo, una sola mente: Annibale. Così grande e straordinaria cosa sono un uomo e una mente perfettamente adatta per costituzione originaria a portare a termine i progetti a cui si sia dedicata.[16]»

L'unica "colpa" di Annibale fu quella di essersi scontrato con il grande popolo romano:

«...durante la battaglia aveva compiuto tutto quanto dovesse fare un comandante abile e con ormai tanta esperienza. Se poi Annibale, dopo aver fatto tutto il possibile per vincere, fallì, proprio lui che era rimasto invitto nel tempo passato, merita comunque il perdono. Alle volte, infatti, è il caso a opporsi alle imprese degli uomini valorosi, mentre, alle volte, come dice il proverbio, «chi è valoroso si è scontrato con un altro più forte». E non c’è persona che non sia disposta a dire che allora, ad Annibale, sia successo proprio questo[17]

La sconfitta di Annibale è il tributo alla fatale grandezza di Roma:

«Quindi è ovvio meravigliarsi di fronte alla capacità mostrata dal comandante in questo senso, e con sicurezza affermare che, se avesse iniziato a combattere in un’altra parte del mondo e avesse affrontato i Romani per ultimi, nessun suo progetto sarebbe fallito. Ora però, poiché iniziò a combattere contro quelli che avrebbe dovuto affrontare per ultimi, con questi segnò l’inizio e il termine delle sue imprese[18]

In riferimento alla proverbiale venalità dei Cartaginesi e alla tendenza a non rispettare i patti Polibio giustifica Annibale ritenendo che quello fu mal consigliato e costretto dalle circostanze a tradire la fiducia concessagli. Per cui alla fine «... è assai difficile esprimere un giudizio sulla vera natura di Annibale»[19]

La propaganda romana[modifica | modifica wikitesto]

La figura di Annibale, il grande nemico di Roma, ha sofferto inevitabilmente di una storica distorsione nelle fonti romane, ovviamente molto ostili, in quanto Roma lo considerò il peggior nemico che avesse dovuto fronteggiare nella sua storia. Cicerone quando parlava dei due grandi nemici di Roma usò per Pirro il termine "onorevole", mentre definiva "crudele" Annibale.

Le accuse al cartaginese in realtà sono in parte tendenziose e frutto della propaganda romana. Riguardo alla sua presunta crudeltà e empietà, le fonti ricordano peraltro che, quando al Lago Trasimeno morì il console Gaio Flaminio, Annibale ne cercò invano il corpo sul campo di battaglia. In un'altra occasione le ceneri del console Marcello furono restituite alla famiglia. Ma quando Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone sconfissero Asdrubale alla Battaglia del Metauro, la testa del fratello di Annibale fu gettata nel campo cartaginese.

Silio Italico esprime un severo giudizio sulle qualità morali di Annibale:

«Egli era per indole bramoso di agire e nemico della lealtà, eccelso nell’astuzia, ma lontano dalla strada della giustizia. Quando impugnava le armi non aveva alcun rispetto degli dèi, era valoroso, ma di un valore volto al male, disprezzava la gloria che deriva dalla pace e ardeva per sete di sangue umano fin nel profondo dalle midolla[20]

ma lo elogia come bravo soldato con i suoi soldati

«Era il primo ad affrontare le dure fatiche, il primo a marciare come un fante e a svolgere la sua parte, se c’era da costruire in fretta una trincea. Infaticabile in tutto quanto potesse essere di stimolo al conseguimento della gloria, rifiutava il sonno che la natura umana esige e trascorreva le notti sveglio e in armi.[21]

e esperto dell'arte bellica:

«E nel conoscere l’arte della guerra, nell’unire l’astuzia al ferro e nel vivere in luoghi inospitali adattandosi alle difficoltà non cederebbe. il passo a codesto Annibale, che è oggi il più abile guerriero[22]»

ha compiuto imprese che lo rendono simile a Eracle[23].

Come è accaduto nella celebrazione poetica degli antichi eroi anche per Annibale Silio ne descrive lo scudo dove è raffigurata la fondazione di Cartagine, vari personaggi come Didone, Enea, Amilcare, Santippo, la crocifissione di Attilio Regolo e Annibale che attraversa l'Ebro per muovere guerra a Roma.

Luciano di Samosata nei suoi Dialoghi dei morti immagina un confronto tra Alessandro, Annibale, presentato come nemico dichiarato della civiltà greca e romana, e Scipione su chi fosse stato il miglior comandante. Il giudice Minosse decreterà che Alessandro sarà il primo fra i condottieri più famosi del mondo fino ad allora, Scipione secondo e Annibale ultimo ma non meno importante. Il confronto tra i tre personaggi sarà ripreso nei Dialogues des morts di F. de S.Fénelon (1712).

Publio Vegezio Renato (seconda metà IV secolo – V secolo) ritiene che le doti militari di Annibale risalgano alle qualità belliche degli Spartani:

«Quanto giovamento abbia recato nelle guerre la scienza degli Spartani lo spiega, per non riportarne altri, l’esempio offerto da Santippo...portando lui da solo aiuto ai Cartaginesi non con il coraggio, ma con la sua arte...Non diversamente si comportò Annibale, che, mentre si preparava ad attaccare l’Italia, si procurò un maestro di tattica spartano, grazie agli insegnamenti del quale abbatté, pur inferiore nel numero e nelle forze, un così grande numero di consoli e di legioni[24]

Lo storico Giovanni Brizzi ha dato una nuova interpretazione delle accuse di crudeltà e ferocia rivolte dalla tradizione antica ad Annibale; lo studioso sostanzialmente afferma che effettivamente durante la campagna d'Italia il condottiero si comportò con grande brutalità e commise numerose atrocità come l'uccisione di prigionieri, i saccheggi, le devastazioni dei terreni coltivati, le deportazioni, l'uccisione in massa di civili, la profanazione di luoghi santi[25]. Soprattutto nell'ultima parte della campagna egli infierì ancor più su avversari e popolazioni ritenute infide. Lo storico inoltre ritiene che il misterioso personaggio di "Annibale Monomaco" descritto da Polibio e ritenuto dallo storico greco il principale fautore nell'esercito cartaginese di un comportamento brutale e di una condotta criminale della guerra[26], non sia un personaggio reale ma una specie di alter ego fittizio di Annibale creato dalla fantasia dello storico spartano Sosilo per rappresentare letterariamente il "lato oscuro" della personalità del cartaginese.[27]

La venalità e le astuzie di Annibale[modifica | modifica wikitesto]

Luoghi comuni e aneddoti circolavano a Roma sulla venalità e furbizia di Annibale molto tempo dopo le sue vicende. Cornelio Nepote racconta come Annibale fece riempire molte anfore di piombo coprendole con un velo d'oro o d'argento e le portò nel tempio di Diana per far credere ai cretesi che volesse loro affidare la custodia delle sue ricchezze[28]. Lo stesso autore riferisce lo stratagemma che Annibale mise in atto riempiendo di serpenti velenosi dei vasi di terracotta che lanciò nelle navi nemiche di Eumene:

«In tal modo Annibale vinse con l’astuzia le armi di Pergamo, e non solo questa volta, ma anche in seguito in battaglie terrestri, sconfisse i nemici con pari scaltrezza[29]

Polibio[30], Livio[31] e Appiano[32] raccontano come Annibale per verificare la lealtà dei suoi alleati celti si infiltrasse tra loro travestito con parrucche e in vari abbigliamenti per prevenire probabili congiure.

Livio[33] e Appiano[34] riferiscono ancora come Annibale fece entrare nell'accampamento romano che assediava Capua alcuni suoi soldati che parlavano latino a spargere la voce che il console Fulvio Flacco aveva deciso di lasciare il campo.

Gli stessi autori[35] raccontano come il condottiero cartaginese mandò ai cittadini di Salapia un disertore romano con una lettera recante il sigillo di Marcello, in mano di Annibale prima che si sapesse della morte di quello, che ordinava di aprire subito le porte della città all'esercito di Marcello che stava per arrivare.

Storiografia successiva[modifica | modifica wikitesto]

Annibale Barca che conta gli anelli dei cavalieri romani caduti nella battaglia di Canne (scultura di Sébastien Slodtz del 1704, Museo del Louvre di Parigi)

Il nome di Annibale è molto conosciuto nella cultura popolare, a dimostrazione della sua importanza nella storia del mondo occidentale. L'autore dell'articolo nell'Enciclopedia Britannica del 1911 così lo descrive:

«Sul genio militare di Annibale non vi possono essere due opinioni. Un uomo che per quindici anni riesce a tenere il campo in una terra ostile e contro potenti forze guidate da una serie di abili generali deve essere un comandante e uno stratega supremo. Per stratagemmi e imboscate certamente superò tutti i generali dell'antichità. Senza dimenticare lo scarso aiuto fornitogli dalla madrepatria. Quando dovette fare senza i suoi veterani, organizzò sul momento truppe fresche. Non abbiamo mai sentito di ammutinamenti nei suoi eserciti anche se composti di Libici, Iberici e Galli. E ancora; tutto quello che sappiamo di lui proviene da fonti ostili. I Romani lo hanno tanto temuto e odiato che non poterono rendergli giustizia. Tito Livio parla di sue grandi qualità ma anche di suoi egualmente grandi vizi, fra cui segnala la sua più che punica perfidia e l'inumana crudeltà. Per la prima non vi era altra giustificazione della sua consumata bravura nelle imboscate. La seconda deriva, noi crediamo, dal fatto che in certi casi si comportò come le usanze belliche dell'epoca consentivano. Certo non arrivò alla brutalità di Claudio Nerone con la testa di Asdrubale. Polibio dice semplicemente che fu accusato di crudeltà da Romani e di avarizia dai Cartaginesi. In effetti Annibale ebbe acerrimi nemici e la sua vita fu una continua lotta contro il destino»

Secondo il filosofo francese Montesquieu:

«Se si esaminano bene la quantità di ostacoli che si pararono davanti a Annibale e che quell'uomo eccezionale superò tutti, si ha il più bello spettacolo che l'antichità ci abbia fornito[36]»

Le parole di Napoleone Bonaparte:

«Quell'Annibale che è veramente il più audace di tutti i generali, forse il più sorprendente, perché così ardito, sicuro, di idee così vaste in tutto…[37]»

Il politico e storico francese Adolphe Thiers, paragonandolo a Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte, ha scritto:

«Annibale a tutti superiore, perché il suo genio, vasto quanto il loro, era alieno da egoismo[38]»

Lo storico tedesco Leopold von Ranke:

«Nessuno ha mai eguagliato Annibale in quanto capo di un esercito in guerra[39]»

Anche il grande storico tedesco Theodor Mommsen ha esaltato Annibale nella sua monumentale opera dedicata a Roma antica:

«Nessuno come lui seppe accoppiare il senno con l'entusiasmo, la prudenza con la forza[40]»

«Egli era un uomo grande; dovunque egli andava gli sguardi si fermavano su di lui[40]»

Annibale fu anche l'eroe preferito di Sigmund Freud, come egli stesso riferisce ne L'interpretazione dei sogni, perché rappresenterebbe il conflitto tra la tenacia degli ebrei e la Chiesa Cattolica.[41].

La storiografia moderna considera senza dubbio Annibale uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi[42], "insuperato" nell'antichità, ed evidenzia la sua grande capacità di comando, la esatta comprensione della strategia e della tattica sulla base della moderna scuola ellenistica, la perfetta conoscenza di ogni aspetto dell'arte militare, qualità sviluppate fin dalla giovane età sotto il consiglio del padre Amilcare[43]. In un lavoro di Giovanni Brizzi del 2011 si definisce espressamente Annibale "il più grande generale di tutti i tempi"[44]. Dal punto di vista della percezione politica della realtà invece il condottiero cartaginese è apparso agli storici meno perspicace e non perfettamente edotto delle caratteristiche effettive dello stato romano-italico. Verosimilmente egli, legato alla cultura greca e ai suoi ideali di libertà politica, si attendeva una pronta defezione generale degli alleati italici e una entusiastica adesione ai suoi sbandierati programmi di liberazione dei popoli dal predominio di Roma[43]. In questo caso Annibale non comprese completamente la reale solidità della struttura politica della Repubblica romana, sottovalutò la capacità di resistenza dei suoi avversari e la concordanza di interessi economico-politici delle classi dominanti dei popoli alleati di Roma[43].

Odiato e temuto dai romani in vita e anche dopo la sua morte, Annibale con il trascorrere del tempo divenne ed è rimasto un personaggio quasi mitologico della storia del mondo occidentale[45][46]; nei secoli la sua figura è stata studiata con maggiore equanimità dagli storici e le colpe attribuitagli dalla propaganda romana riguardo alla sua crudeltà e alla sua slealtà sono state in gran parte messe da parte e depurate dagli elementi propagandistici presenti[47]. Annibale è assurto a "eroe epico", non privo di una tragica grandezza morale per la sua coerenza, l'incorruttibilità, la linearità sia nei periodi di massimo successo come nelle infelici fasi finali della sua vita, fino al tragico suicidio con cui egli volle concludere con dignità la sua esistenza dedicata interamente alla lotta contro il predominio di Roma[48][49].

Eredità e reputazione postuma[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Annibale nell'eredità storica culturale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Mommsen 1932, p. 265 (Hannibal, Neapel, National-Museum); Lancel 1995, in copertina "Roman bust of Hannibal. Museo Archeologico Nazionale. Naples"; Goldsworthy 2000, copertina "Hannibal in later life"; Goldsworthy 2001, p. 24 dove scrive "a bust, which may be a representation of Hannibal in later life, although there are no definite images of him"; Goldsworthy 2003, p. 41 dove scrive "a bust that purports to show Hannibal in later life"; Matyszak 2003, p. 95 dove scrive "bust, thought to be of Hannibal, found in Capua".
  2. ^ G. Brizzi, Il guerriero, l’oplita, il legionario - gli eserciti nel mondo classico, il Mulino, Bologna 2002, p. 36 ss. e 74 ss.
  3. ^ La mêtis simboleggiata dall'autore dell'inganno del cavallo di Troia: il polymetis (molto astuto) Ulisse
  4. ^ Livio, XXIII, 30.13, 31.9, 32.20.
  5. ^ Il verbo latino mentiri (deriva da mens mentis (mente), dapprima col significato di "immaginare", poi "fingere", quindi "mentire".
  6. ^ Odisseo nome che Omero collega a ὀδύσσομαι (odýssomai) il cui significato è "essere odiato". (in AA.VV., Il mito di Ulisse, BUR 2007)
  7. ^ G.Brizzi, op.cit. ibidem
  8. ^ Giovenale, Satire, X, 147
  9. ^ Cornelio Nepote, Gli uomini illustri, Annibale, 1-2
  10. ^ Sarebbe stato Amilcare ad aver fatto giurare al figlio un eterno odio nei confronti dei Romani: «non appena Annibale cominciò a parlare e ad articolare i primi suoni, Amilcare, abile nel coltivare odi furenti, seminò nel cuore del ragazzo la passione di far guerra a Roma. » (in Silio Italico,Op. cit., I, 70-80); «Si diceva anche che quando era ancora un ragazzo aveva giurato sull’altare insieme al padre eterna inimicizia contro Roma.» (in Appiano, Op. cit., VI, II, 9)
  11. ^ Biblioteca Storica, XXIII, 23 [exc. de Virt. et Vit., pp. 259-260])
  12. ^ Op. cit., XXVI, 2 [exc. de Virt. et Vit., p. 263])
  13. ^ Op. cit., XXIX, 19 [exc. de Virt. et Vit., pp. 273-274])
  14. ^ Appiano, Storia romana, VII, VI, 40
  15. ^ Livio, op.cit. XXVI, 11, 2-8
  16. ^ Polibio, Storie, IX, 22, 1-6
  17. ^ Polibio, Op. cit., XV, 15, 3-6; 16, 1-6
  18. ^ Polibio, Op. cit., XI, 19, 6-7
  19. ^ Polibio, Op. cit.,, IX, 26, 10-11
  20. ^ Silio Italico, Le guerre puniche, I, 56-60
  21. ^ Silio Italico, Le guerre puniche, I, 242-251
  22. ^ Silio Italico, Op. cit. VI, 307-310
  23. ^ Silio Italico, Op. cit., IV, 3-5
  24. ^ Vegezio, L’arte della guerra romana, III, prol. 5-7)
  25. ^ G. Brizzi, Metus Punicus, pp. 42 e 47-49.
  26. ^ Polibio, Storie, IX, 24.
  27. ^ G. Brizzi, Metus Punicus, pp. 43 e 49-50.
  28. ^ Nepote, Op.cit., 9, 2-4
  29. ^ Nepote, Op. cit., X, 4-5; XI, 5-6
  30. ^ (Stratagemma «degno dei Cartaginesi.» In Op. cit. III, 78, 1-4
  31. ^ Op. cit., XXII, 1, 3-4
  32. ^ Op. cit., VII, II, 6
  33. ^ Op. cit., XXVI, 6, 9-13
  34. ^ Op. cit., VII, VII, 41-42
  35. ^ Livio, Op. cit., XXVII, 28, 4-5; Appiano, Op. cit., VII, VIII, 51
  36. ^ In: K. Christ, Annibale, p. 194.
  37. ^ In: K. Christ, Annibale, pp. 194-195.
  38. ^ In: G. Granzotto, Annibale, p. 70.
  39. ^ In: K. Christ, Annibale, pp. 198-199.
  40. ^ a b In: T. Mommsen, Storia di Roma antica, vol. I, tomo II, p. 707.
  41. ^ pagina 149 -150 Sigmund Freud, L'Interpretazione dei sogni, 1899.
  42. ^ AA.VV., Enciclopedia universale Rizzoli Larousse, vol. I, voce: "Annibale", p. 493.
  43. ^ a b c A. Bernardi, Storia d'Italia, vol I, p. 105.
  44. ^ G. Brizzi, Metus Punicus, quarta pagina di copertina.
  45. ^ K. Christ, Annibale, p. 222.
  46. ^ Lancel 2002, pp. 332-334.
  47. ^ T. Mommsen, Storia di Roma antica, vol. I, tomo 2, pp. 706-707.
  48. ^ K. Christ, Annibale, p. 246.
  49. ^ G. Granzotto, Annibale, pp. 311-312.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie
Fonti storiografiche moderne
Romanzi storici