Chiesa di Santa Maria di Nazareth (Venezia)

Chiesa di Santa Maria di Nazareth
La facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneVeneto
LocalitàVenezia
Coordinate45°26′28.61″N 12°19′19.96″E / 45.44128°N 12.32221°E45.44128; 12.32221
ReligioneCattolica
TitolareMaria
Patriarcato Venezia
Consacrazione1705
ArchitettoBaldassare Longhena e Giuseppe Sardi
Stile architettonicoBarocco
Inizio costruzione1672
Sito webwww.centroscalzi.it

La chiesa di Santa Maria di Nazareth, o chiesa degli Scalzi, è un edificio religioso della città di Venezia dei primi del XVIII secolo. Opera di Baldassarre Longhena ma con la facciata di Giuseppe Sardi, è situata nel sestiere di Cannaregio in prossimità della stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa di Santa Maria di Nazareth deve la sua origine all'insediamento dei Carmelitani scalzi nella città lagunare.

Fu edificata da Baldassarre Longhena in un'unica navata, con due cappelle laterali, ognuna a sua volta affiancata da due cappelle minori. Dopo l'arco trionfale, l'aula si immette nel presbiterio, rialzato e dotato di una cupola. Nell'abside, si nota il coro dei frati.

Venne consacrata nel 1705, ma subì un importante restauro fra il 1853 e il 1862 da parte del governo austriaco. Al suo interno l'11 febbraio 1723 venne tumulato Ferdinando II Gonzaga, quinto e ultimo principe di Castiglione[1].

Oggi è monumento nazionale. Al suo interno marmi colorati e sfarzosi corinzi danno una sensazione di opulenza e di meraviglia al visitatore.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Facciata[modifica | modifica wikitesto]

La facciata, finanziata dal nobile Gerolamo Cavazza, venne eretta da Giuseppe Sardi, fra il 1672 e il 1680. Lo stile è un tardo barocco veneziano, diviso in due ordini e scandito da colonne binate. Le quattro statue del primo ordine, la Madonna col Bambino collocata sul fastigio, e Santa Caterina da Siena nella nicchia a sinistra della Madonna sono di Bernardo Falconi. La nicchia a destra era occupata da una statua di San Tommaso d'Aquino dello stesso Falconi.

Interno[modifica | modifica wikitesto]

L'opera Trasporto della casa di Loreto, un affresco di Giambattista Tiepolo del 1743, andò distrutta durante un bombardamento austriaco il 24 ottobre 1915[2]. Fu nel tentativo di riparare a questo danno, che, nel periodo 1929-1933, Ettore Tito dipinse per la chiesa due opere: una tela di 100 metri quadrati, ed un affresco di 400 metri quadrati. I resti del Trasporto della casa di Loreto e altri frammenti superstiti del soffitto sono oggi conservati alle Gallerie dell'Accademia, dove è conservato anche uno dei due bozzetti (olio su tela) dipinti da Tiepolo come modelli preparatori per il grande affresco perduto[3]. Esiste anche una fotografia del soffitto di James Anderson e una copia di Mariano Fortuny al Museo Correr.

Controfacciata[modifica | modifica wikitesto]

L'organo è stato costruito agli inizi del '900 dai fratelli Pugina di Padova; sopra Santa Teresa incoronata dal Salvatore di Gregorio Lazzarini.

Presbiterio[modifica | modifica wikitesto]

L'altare maggiore è opera di Jacopo Antonio Pozzo (ovvero fra Giuseppe Pozzo) come anche il parato ligneo della sacrestia.[4] Il presbiterio è sovrastato da un baldacchino sorretto da colonne tortili. Il fastoso tabernacolo della mensa, vede la statua della Madonna con putto e profeti, proveniente dall'isola di Santa Maria di Nazareth, poi Lazzaretto.

Le statue di dodici Sibille, opera di Giuseppe Torretto, Giovanni Marchiori, Pietro Baratta, Giuseppe e Paolo Groppelli, stanno distribuite, cinque per parte, sulle pareti laterali e due giacenti sull'arco del baldacchino[5].

Cappella Giovanelli[modifica | modifica wikitesto]

Assegnato alla famiglia Giovanelli, è caratterizzata da un ricco altare del Seicento di Ludovico David. La pala d'altare mostra una statua di San Giovanni della Croce (uno dei fondatori dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi) di Bernardo Falcone. Sulla guida di sedia: tre Virtù cardinali, statue di Tommaso Ruer.

Cappella Ruzzini[modifica | modifica wikitesto]

Assegnato alla famiglia Ruzzini. L'altare è stato costruito e progettato da Giuseppe Pozzo. La pala d'altare: Estasi di Santa Teresa (1697) di Heinrich Meyring. Sulla volta un affresco della Gloria di santa Teresa (1720-1725) di Giambattista Tiepolo. Pareti laterali: due dipinti di Niccolò Bambini; la tabella a sinistra San Giuseppe appare a santa Teresa e la libera da un pericoloso incontro e a destra Comunione miracolosa di santa Teresa (L'ostia consacrata si stacca miracolosamente dalle mani del sacerdote per volarsene alla Santa) (fine del XVII secolo).

Cappella Lumaca[modifica | modifica wikitesto]

Cappella Lumaca, o del Crocifisso È stata assegnata alla famiglia Lumaca. Sull'altare un grande crocifisso in marmo del XVIII secolo, attribuito a Giovanni Maria Morlaiter. Il paliotto Cristo che cade sotto la croce è anch’esso attribuito al Morleiter.

Mensa dell'altare: in una teca, scultura in cera colorata raffigurante Cristo fra i ladroni, lavoro di qualche religioso. Nella volta l'affresco Cristo nell'orto dei Getsemani (1732), opera di Giambattista Tiepolo.

Cappella Mora[modifica | modifica wikitesto]

Assegnata alla famiglia Mora. Costruita da Baldassare Longhena. La pala con quattro colonne di diaspro nero mostra una statua di San Giovanni Battista in marmo di Carrara (fine del XVII secolo) di Melchior Barthel. Un affresco sul soffitto rappresenta il Padre Eterno in gloria (XVII secolo) di Pietro Liberi. Giambattista Mora è sepolto ai piedi dell'altare.

Cappella Manin[modifica | modifica wikitesto]

Qui è sepolto l'ultimo doge di Venezia, Ludovico Manin, che morì il 23 ottobre 1802. La cappella fu costruita dal fratello Giuseppe Pozzo. La pala mostra una scultura di Madonna col Bambino e san Giuseppe tra le nuvole di Giuseppe Torretto, che è l'autore di due angeli. Sulle pareti laterali delle statue cappella, Michele e Gabriele, lo stesso Giuseppe Torretto. I due lampadari in vetro blu sono in vetro di Murano.

Cappella Venier[modifica | modifica wikitesto]

Costruita da Sebastiano Venier (da non confondere con il doge Sebastiano Venier), abate e protonotario apostolico, che vi è sepolto († 1664) insieme al fratello Angelo. La pala d'altare mostra una statua di San Sebastiano (1669) di Bernardo Falconi. L'altare è decorato da bassorilievi in bronzo con Scene della vita di san Sebastiano dello stesso Bernardo Falconi.

Statue della Fede, Speranza e Carità nella cappella di San Giovanni della Croce di Tommaso Rues.

Sepolture illustri[modifica | modifica wikitesto]

Nella chiesa furono tumulati:

Opere d'arte[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Rosanna Golinelli Berto. Associazione per i monumenti domenicani (a cura di), Sepolcri Gonzagheschi, Mantova, 2013, ISBN 978-88-908415-0-7.
  2. ^ Ugo Ojetti, Il martirio dei monumenti, Milano, Fratelli Treves Editori, 1918, pp. 33-34.
  3. ^ Giovanna Nepi Scirè, p. 161.
  4. ^ Andrea Bianchi e Luciana Giacomelli (a cura di), Scultura in Trentino: Il Seicento e il Settecento, volume secondo, Trento, Provincia Autonoma di Trento, 2003, pp. 258-260, ISBN 88-86602-55-3.
  5. ^ Klemenčič, pp. 110-112 nn. 22-25, 29. Nel saggio viene riassunta la vicenda delle correzioni alle attribuzioni originarie espresse da Leopoldo Cicognara nel 1818 che assegnava l’intero corpus delle dodici Sibille a Giovanni Marchiori. Tali attribuzioni continuano a comparire qua e là per forza d’inerzia. Solo nel 1957 Luigi Coletti (Coletti, p. 14) propose l’assegnazione di tutte le Sibille della parete destra (Libica, Persica e Delfica in piedi, Eritrea e Cumea giacenti) a Giuseppe Torretto, attribuzioni confermate e riprese da Camillo Semenzato nel 1966 (Semenzato, p. 108). Delle tre in piedi sul lato sinistro la Samia fu passata a Pietro Baratta da Massimo De Grassi nel 1997 (De Grassi 1997a, pp. 54, 57 fig. 6), la Tiburtina e la Ellespontica furono assegnate sempre dal De Grassi (De Grassi 1997b, pp. 139, 141) e, quasi contemporaneamente, da Klemenčič ai fratelli Groppelli. Rimangono al Marchiori le due sibille giacenti della parete sinistra (Frigia e Cimmeria) e quelle sopra l’altare (Agrippina ed Europea).
  6. ^ Rosanna Golinelli Berto. Associazione per i monumenti domenicani (a cura di), Sepolcri Gonzagheschi, Mantova, 2013.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Aa. Vv., La chiesa di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei Carmelitani Scalzi a Venezia, Marcianum Press, Venezia, 2014
  • Marcello Brusegan, Le chiese di Venezia, Ed. Newton Compton 2008
  • Laura Facchin, Bernardo Falconi (notizie dal 1651 al 1696), in G. Mollisi (a cura di), Svizzeri a Venezia nella storia nell'arte nella cultura nell'economia dalla metà del Quattrocento ad oggi, Arte&Storia, a. 8, n. 40, Editrice Ticino Management S.A., Lugano, settembre-ottobre 2008, 206-215.
  • Giovanna Nepi Scirè, Gallerie dell'Accademia di Venezia: catalogo generale, Milano, Mondadori Electa S.p.A., 2013, ISBN 978-88-370-6473-0.
  • Camillo Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia, Alfieri, 1966.
  • Matej Klemenčič, Nuovi contributi all'opera dei fratelli Paolo e Giuseppe Groppelli, Francesco Robba and the Venetian Sculpture of the Eighteenth Century - Papers from an International Symposium - Ljubljana, 16th - 18th October 1998, Ljubljana, Rokus, aprile 2000.
  • Massimo De Grassi, Pietro Baratta per le corti del Nord, in Arte veneta, vol. 51, Milano, Electa, 1997.
  • Massimo De Grassi, Giovanni Marchiori, appunti per una lettura critica, in Saggi e memorie di storia dell'arte, vol. 21, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 1997.
  • Luigi Coletti, L'ambiente veneziano, in Mostra canoviana, Treviso, Longo & Zoppelli, 1957.

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