Calendario reale

Il Calendario reale è stato un periodico del Regno d'Italia, a cadenza annuale, pubblicato ininterrottamente dal 1861 al 1943. Era l'annuario statistico-diplomatico ufficiale della casa reale d'Italia, assolveva a funzioni simili a quelle del Gotha.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il Calendario del Regno d'Italia rappresentava, di fatto, la prosecuzione del Calendario di corte del Regno di Sardegna, uscito per la prima volta nel 1823[1], e pubblicato, a cadenza annuale ma non sempre regolare, fino al 1859, con la variante di titolo in Calendario reale del Regno di Sardegna[2].

La prima uscita del 1861, con la nuova denominazione e per i tipi Ceresole e Panizza[3], era, dunque, la logica conseguenza dell'Unità e della connessa esigenza di pubblicizzare la gerarchia della casa regnante Savoia e delle nuove cariche, all'interno dell'ordinamento regolato sia dalle leggi dinastiche sia dallo Statuto Albertino.

Nel corso di 82 anni di storia, in cui sono rimasti invariati il carattere e la cadenza del periodico, sono spesso cambiate le tipografie, scelta anche, in parte, condizionata dalla designazione della residenza reale, ovvero della capitale. In particolare, dalla prima edizione “targata” Ceresole e Panizza si è passati, dal 1874, alla tipografia reale di Vittorio Bona[4], così come dalla parentesi della tipografia Bencini dal 1889[5] al "lungo periodo" dell'Unione Cooperativa Editrice dal 1894[6], per concludersi con le edizioni del Ministero della Casa reale dal 1941[7].

Per quanto riguarda le dimensioni tipografiche del Calendario, agli iniziali 13 centimetri si è passati, dal 1885, ai 17 centimetri, misura questa che sarebbe rimasta costante, al contrario del numero, variabile, dell'impaginazione. In tal senso, la differenza tra l'una e l'altra edizione è stata anche di oltre 300 pagine, se si considera il minimo di 280 registrato per l'edizione del 1941 e il massimo di 614 con l'edizione Bona del 1886[8].

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Il volume era sempre aperto dal calendario. Mentre la suddivisione del testo era, originariamente[3], suddivisa in sei parti, secondo la seguente strutturazione:

A partire dal 1879, la VI venne eliminata, fondendone in parte i contenuti all'interno delle altre sezioni[9]. Questa ultima strutturazione, fatta eccezione per sporadici cambiamenti intervenuti nella denominazione di alcune voci, si è mantenuta anche nelle edizioni novecentesche.

Nel 2015 la Ettore Gallelli-edizioni, ha rilevato i diritti d'autore del Calendario Reale, con formale registrazione presso l'ufficio pubblico generale delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore (art. 103 L. 633/1941), dipendente dal Ministero per i Beni e Attività Culturali, acquisendo quindi tutti i diritti editoriali in esclusiva.

La nuova serie ha la medesima veste grafica blu dell'ultima edizione, curata dall'ufficio araldico del Re d'Italia. Anche internamente la pubblicazione riporta le medesime sezioni delle edizioni storiche, includendo però anche l'elenco delle famiglie nobili italiane, motivo per il quale l'opera è giunta ad avere oggi 1748 pagine. Il Calendario Reale edito dalla Ettore Gallelli -edizioni con cadenza annuale, è inoltre aggiornato dalla Consulta Araldica dell'Unione della Nobiltà d'Italia, che vaglia i documenti storici delle famiglie che chiedono l'inserimento nell'opera.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Calendario di corte, Stamperia Reale, Torino 1823.
  2. ^ Calendario reale, Tip. Zecchi e Bona, Torino-Firenze-Roma 1859.
  3. ^ a b Calendario reale per l'anno 1861, Tip. Ceresole e Panizza, Torino 1861.
  4. ^ Calendario reale per l'anno 1874, Tip. Bona, Torino 1874.
  5. ^ Calendario reale per l'anno 1889, Tip. Bencini, Roma-Firenze 1889.
  6. ^ Calendario reale per l'anno 1894, Tip. Unione Coop. Editrice, Roma 1894.
  7. ^ Calendario reale per l'anno 1941, Ministero della Casa di S.M., Roma 1941.
  8. ^ Calendario reale per l'anno 1886, Tip. Bona, Torino 1889.
  9. ^ Calendario reale per l'anno 1879, Tip. Bona, Torino 1879.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]