Attentati alle ambasciate statunitensi del 1998

Attentati alle ambasciate statunitensi del 1998
attentato
L'ambasciata USA a Nairobi dopo l'attentato
TipoAttacco dinamitardo
Data7 agosto 1998
10:30 – 10:40 (UTC+3)
LuogoNairobi (Kenya)
Dar es Salaam (Tanzania)
StatiBandiera del Kenya Kenya
Bandiera della Tanzania Tanzania
ObiettivoAmbasciate statunitensi
ResponsabiliOsama bin Laden ed Al-Qā‘ida
Conseguenze
Morti224
Feriti4 000 circa

Gli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 colpirono le sedi diplomatiche degli Stati Uniti in Kenya e Tanzania il 7 agosto del 1998.

Furono rivendicati da Osama bin Laden e dall'organizzazione da lui guidata, al-Qā‘ida, e sono considerati fra i più importanti attacchi terroristici contro gli Stati Uniti perpetrati prima degli attentati dell'11 settembre 2001.[senza fonte] Il numero complessivo delle vittime fu di 224 morti e circa 4000 feriti.

Gli attacchi[modifica | modifica wikitesto]

L'ambasciata a Dar es Salaam, Tanzania

I due attacchi avvennero a Nairobi e Dar es Salaam la mattina del 7 agosto 1998, quasi simultaneamente, intorno alle 10:45 ora locale. La data era la ricorrenza dell'arrivo delle truppe americane sul suolo saudita durante la prima guerra del Golfo. In entrambi i casi, le ambasciate furono colpite dalla deflagrazione di ordigni esplosivi.

L'esplosione a Nairobi fu la più violenta delle due, e fu udita a oltre 30 km di distanza. L'ambasciata statunitense fu distrutta, e anche diversi edifici circostanti risultarono gravemente danneggiati. Le vittime accertate furono 212, con circa 4000 feriti. A Dar es Salaam fu danneggiata la struttura dell'ambasciata, con 11 morti e 85 feriti. In entrambi i casi, quasi tutte le vittime erano africani; complessivamente persero la vita solo 12 cittadini statunitensi, tutti a Nairobi.

Rivendicazione[modifica | modifica wikitesto]

Monumento commemorativo a Nairobi

Gli attentati furono rivendicati da Osama bin Laden, ma le motivazioni non furono mai del tutto chiarite. In alcuni messaggi, bin Laden sostenne che nelle ambasciate colpite era stato programmato il genocidio ruandese; in altre occasioni sostenne che la motivazione era stata l'invasione della Somalia nell'operazione Restore Hope, o l'intenzione degli Stati Uniti di dividere il Sudan in due nazioni separate.

Risposta statunitense[modifica | modifica wikitesto]

In risposta agli attentati, l'allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton ordinò il bombardamento di obiettivi militari in Sudan (la fabbrica farmaceutica di Al-Shifa) e Afghanistan il 20 agosto. Questa rappresaglia ebbe conseguenze molto controverse in Sudan, dove i missili colpirono una fabbrica farmaceutica la cui produzione copriva il 50% del fabbisogno nazionale. L'amministrazione statunitense sostenne di avere prove certe che nella fabbrica si producessero anche armi chimiche, ma le successive indagini di diversi gruppi indipendenti internazionali e statunitensi e la testimonianza dei tecnici italiani che lavoravano nella fabbrica provarono che l'accusa era infondata[1].

Oltre alla risposta militare, l'amministrazione clintoniana mise alcuni sospetti sulla lista delle persone più ricercate dalla giustizia degli Stati Uniti.

Muhammad Atef ucciso in Afghanistan nel 2001
Muhsin Musa Matwalli Atwah ucciso in Pakistan nel 2006
Wadih el Hage in prigione dal 2001[2]
Mohamed Sadiq Odeh in prigione dal 2001[2]
Mohamed Rashed Daud al-'Owhali in prigione dal 2001[2]
Khalfan Khamis Mohamed in prigione dal 2001[2]
Khalid al-Fawwaz in prigione dal 1998
Ibrahim Eidarus in prigione dal 1999
Adel Abd el-Bari in prigione dal 1999
Mamduh Mahmud Salim in prigione dal 1998
Ahmed Khalfan Ghailani in prigione dal 2004
Mustafa Mohamed Fadil nel dicembre 2013 venne dichiarato morto come martire ma a tutt’oggi non si hanno ancora conferme della sua condizione
Osama bin Laden ucciso in Pakistan nel 2011
Ayman al-Zawahiri ucciso in Afghanistan nel 2022
Sayf al-Adel ricercato (taglia di 10 milioni di dollari)
Abdullah Ahmed Abdullah ucciso in Iran nel 2020
Abu Anas al-Libi arrestato in Libia nel 2013 e morto di cancro in un ospedale di New York il 2 gennaio 2015
Fazul Abdullah Mohammed ucciso in Somalia nel 2011
Ahmed Mohamed Hamed Ali ucciso in Pakistan nel 2010
Fahid Mohammed Ally Msalam ucciso in Pakistan nel 2009
Sheikh Ahmed Salim Swedan ucciso in Pakistan nel 2009

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Michael Barletta, Chemical Weapons in the Sudan: Allegations and Evidence., in "Nonproliferation Review. Monterey Institute of International Studies", 6:1 (1998): pp. 5-48. [1]
  2. ^ a b c d Four embassy bombers get life, CNN, 21 ottobre 2001

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]