Aladino Govoni

Aladino Govoni (Tamara, 17 novembre 1908Roma, 24 marzo 1944) è stato un militare e partigiano italiano, vittima dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlio del poeta Corrado Govoni, laureato in scienze economiche e commerciali, ricopre il grado di capitano nel primo reggimento granatieri a Roma dopo il ritorno dai Balcani. Trovatosi nella capitale nei giorni intorno all'8 settembre 1943, partecipa ai combattimenti di Cecchignola e Porta San Paolo. Passa quindi alla clandestinità, militando nel gruppo Bandiera Rossa, e diventa subito un efficiente comandante di spedizioni militari contro i nazifascisti.

Aladino Govoni, Unico Guidoni, Uccio Pisino, Ezio Lombardi e Tigrino Sabatini (quest'ultimo fucilato a Forte Bravetta) vengono arrestati nel febbraio 1944 dagli uomini della Gestapo, informati di una riunione in una latteria in via Sant'Andrea delle Fratte. L'informatore era il sottotenente delle SS italiane Mauro De Mauro, infiltrato in Bandiera Rossa dai nazifascisti[1]. In quel periodo Mauro De Mauro era vice questore di Pubblica Sicurezza sotto il questore Pietro Caruso, informatore del capitano delle SS Erich Priebke e del colonnello Herbert Kappler e fa parte della famigerata Banda Koch. Dopo essere stato torturato a lungo, Aladino Govoni viene finito alle Fosse Ardeatine. Suo padre comporrà il poema La fossa carnaia ardeatina nel novembre 1944.[2]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare alla memoria - nastrino per uniforme ordinaria
«Dopo essersi battuto con slancio e cosciente valore alla Cecchignola ed alla Porta San Paolo alla testa di una compagnia di granatieri nelle giornate del settembre 1943, partecipava con pronta ed ardimentosa decisione al movimento di liberazione. Si distingueva brillantemente come organizzatore ed animatore, dando, in circostanze particolarmente difficili e nella effettuazione di numerosi colpi di mano, prova sicura di fermezza di animo e di indomito coraggio. Insistentemente e continuamente braccato dalla polizia nazifascista che lo sapeva uno dei più animosi capi della resistenza, rifiutava di allontanarsi dal suo posto di lotta, sia pure temporaneamente. Dopo essere sfuggito due volte alla cattura, tratto finalmente in arresto dalla polizia tedesca e lungamente interrogato e torturato, manteneva fermo ed esemplare contegno nulla rivelando. Sacrificato alla rappresaglia nemica, cadeva per il trionfo degli ideali di libertà e di Patria[3]
— Roma, settembre 1943 - 24 marzo 1944.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ ANPI
  2. ^ La Nuova Sardegna del 24 agosto 2008, su ricerca.gelocal.it. URL consultato il 4 marzo 2017 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2017).
  3. ^ Quirinale, scheda medaglia d'oro.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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