Pietro Zaglio

Pietro Zaglio
NascitaVerona, 20 aprile 1885
MorteBelluno, 16 giugno 1961
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaFanteria
CorpoAlpini
GradoGenerale di corpo d'armata
GuerreGuerra italo-turca
Prima guerra mondiale
Seconda guerra mondiale
CampagneFronte italiano (1915-1918)
BattaglieBattaglia di Caporetto
Decorazionivedi qui
Studi militariRegia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena
dati tratti da Generals[1]
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Pietro Zaglio (Verona, 20 aprile 1885Belluno, 16 giugno 1961) è stato un generale italiano, veterano della guerra italo-turca e della prima guerra mondiale, dove fu decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare, e si distinse particolarmente nel corso della battaglia di Caporetto, venendo fatto prigioniero. Tra le due guerre mondiali fu comandante del 67º Reggimento fanteria "Palermo" di Como, e poi del 7º Reggimento alpini. Nel corso della seconda guerra mondiale fu comandante della 17ª Divisione fanteria "Pavia", operante in Africa Settentrionale Italiana, dove rimase gravemente ferito, e successivamente della 26ª Divisione fanteria "Assietta" di stanza in Sicilia, unità destinata all'Operazione C3, la prevista, e mai attuata, invasione di Malta.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Verona il 20 aprile 1885.[1] Arruolatosi come volontario nel Regio Esercito nel corso del 1909, fu assegnato al 6º Reggimento alpini, entrando poi nella Regia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena, da cui uscì con il grado di sottotenente assegnato all'arma di fanteria, corpo degli alpini.[2] Promosso tenente, nel 1909 fu assegnato alla 65ª Compagnia del Battaglione alpini "Feltre", di stanza ad Agordo[N 1] e in forza al 7º Reggimento alpini. Prese parte alla guerra italo-turca combattendo in Libia, sia in Tripolitania che in Cirenaica.[2] Ritornato in Patria, fu promosso capitano e assegnato al 3º Reggimento alpini, con cui, dopo l'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 24 maggio 1915, entrò in combattimento in forza al Battaglione alpini "Pinerolo".[2] Si distinse subito sul Monte Nero, venendo decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare,[3] e una volta trasferito al Battaglione alpini "Moncenisio" prese parte alle successive operazioni in Alta Carnia.[2] Divenuto comandante del Battaglione alpini "Monte Nero" dell'8º Reggimento alpini partecipò ai combattimenti sul Pal Piccolo, Pal Grande e Freikofel.[2] Nuovamente rimasto ferito mantenne il comando del reparto anche dopo l'esito infausto della battaglia di Caporetto.[4] Dopo il combattimento di Longarone guidò i resti del suo battaglione fin sul Monte Grappa, combattendo alla baionetta gli attaccanti sul sagrato della chiesa di Bolzano Bellunese.[3] Promosso maggiore combatté col suo reparto sul Monte Grappa, e venuto a conoscenza che il comandante del Battaglione alpini "Monte Clapier" era caduto in combattimento si offrì di sostituirlo, combattendo sul Col della Berretta fino a quando, soverchiato dagli avversari, fu catturato insieme agli unici 14 sopravvissuti del battaglione, quasi tutti feriti.[4]

Per questo fatto fu citato sul Bollettino del Comando supremo,[3] e le autorità militari austro-ungariche gli concessero l'onore di conservare la sua pistola d'ordinanza per tutta la durata della prigionia.[3]

Rientrato dalla prigionia dopo la firma dell'armistizio di Villa Giusti, il 1 agosto 1919 assunse il comando del Battaglione alpini "Belluno", mantenendolo per alcuni anni.[4] Promosso colonnello nel 1932, assunse il comando del 67º Reggimento fanteria "Palermo" di Como, mantenendolo fino al 1934 quando si trasferì a Belluno per assumere il comando del 7º Reggimento alpini.[3] Generale di brigata dal 16 maggio 1938, assunse il comando della fanteria della 17ª Divisione fanteria "Rubicone" a Forlì.[4] Nel maggio 1939 assunse il comando della 17ª Divisione fanteria "Pavia",[3] che all'atto dell'entrata in guerra si trovava in Africa Settentrionale Italiana, al confine con la Tunisia francese.[5] Dopo la firma dell'armistizio di Villa Incisa, il 25 giugno la Grande Unità fu trasferita a ovest di Tripoli dove rimase con compiti di difesa costiera fino all'aprile dell'anno successivo. Gravemente malato, dovette cedere il comando al generale Antonio Franceschini e ritornò in Italia nel maggio 1941.

Il 1 maggio 1942 assunse il comando della 26ª Divisione fanteria "Assietta",[5] di stanza in Sicilia, mantenendo tale incarico fino al 1 febbraio 1943.

Promosso generale di corpo d'armata, in qualità di Mutilato di Guerra venne ammesso al Ruolo d’Onore.[5] L'armistizio dell'8 settembre 1943 lo colse nella sua villa di Col di Salce, malato e stanco, e qui rimase fino alla fine della guerra.[5] Dopo la fine del secondo conflitto mondiale fu assessore comunale[6] e commissario dell’Ospedale civile a Belluno.[6] ricoprì vari incarichi a livello locale: Presidente dell'Istituto del Nastro Azzurro, dell'Associazione Combattenti, della Sezione ANA di Belluno, e dei Mutilati di Guerra.[5]

Morì il 16 giugno 1961 e fu sepolto nel cimitero di Prade a Belluno.[7][8]

La sezione dell'Associazione Nazionale Alpini di Salce, una frazione di Belluno, porta il suo nome.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Conduceva molto abilmente il proprio reparto sulla linea del fuoco. Ferito rincuorava i propri dipendenti e li incitava all'azione, dando così bella prova di fermezza e d'ardire. Monte Mrzlivrh, 2 giugno 1915
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
— Regio Decreto 14 novembre 1935[9]

Estere[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Qui ricevette un Encomio solenne con la seguente motivazione: Con generoso ardimento riusciva a salvare una bambina che, già gettata a terra da un cavallo attaccato ad una vettura, stava per essere travolta.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Generals.
  2. ^ a b c d e Col Maòr n.2, giugno 1964, p. 2.
  3. ^ a b c d e f Col Maòr n.1, aprile 1964, p. 3.
  4. ^ a b c d Col Maòr n.2, giugno 1964, p. 3.
  5. ^ a b c d e Col Maòr n.1, aprile 1964, p. 4.
  6. ^ a b Agostini 2012, p. 259.
  7. ^ Comune di Belluno – Deliberazione n. 119 del 09/08/2012 Servizio Cimiteriale pag. 8 (PDF), su cdn1.regione.veneto.it. URL consultato il 19 agosto 2019 (archiviato dall'url originale il 22 novembre 2021).
  8. ^ La Voce Amica - Bollettino della Parrocchia di Salce (Belluno) Anno XLIV Settembre 1961 N. 5 pag. 4
  9. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.122 del 27 maggio 1936, pag.1728.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Filiberto Agostini, Il governo locale nel Veneto all'indomani della liberazione. Strutture, uomini e programmi, Milano, Franco Angeli Editore, 2012, ISBN 8-85685-810-X.
  • Luigi Cadorna, La guerra alla fronte italiana. Vol. 1, Milano, Fratelli Treves editori, 1921.
  • Luigi Cadorna, La guerra alla fronte italiana. Vol. 2, Milano, Fratelli Treves editori, 1921.
  • Alberto Cavaciocchi e Andrea Ungari, Gli italiani in guerra, Milano, Ugo Mursia Editore s.r.l., 2014.
Periodici
  • Pagina del decorato, in Col Maòr, n. 1, Salce, Associazione Nazionale Alpini Sezione di Belluno, aprile 1964.
  • Col Maòr, n. 2, Salce, Associazione Nazionale Alpini Sezione di Belluno, giugno 1964, pp. 1-5.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]