Chiesa conventuale di Santa Maria la Vite

Chiesa conventuale di Santa Maria la Vite
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLombardia
LocalitàOlginate
IndirizzoVia Albegno - 23854 - Olginate (LC)
Coordinate45°47′33.68″N 9°24′43.2″E
Religionecattolica di rito romano
Arcidiocesi Milano

La chiesa conventuale di Santa Maria la Vite è una struttura situata ad Olginate lungo la strada Regia per Milano.[1]

Goffredo da Bussero, verso la fine del XIII secolo, ricorda due chiese ad Olginate: quella di Santa Margherita e quella di Santa Maria in Vico[2]. Nei documenti è conosciuta come Santa Maria In Vigo, Santa Maria De Vigo o Santa Maria La Vite. Giovanni Dozio (dottore della Biblioteca Ambrosiana) ci mostra come la parola vico equivalga a dire vicana, ovvero del comune, infatti la chiesa era mantenuta a spese comuni.[3]

Il nome La Vite, invece, riporta ad una leggenda[2] che si può trovare anche nel libro "Storia di Olginate".[4]

La precisa data di costruzione è sconosciuta, ma uno scritto del XVII secolo[5] ne spiega le cause della costruzione: tra Valgreghentino e Olginate non vi era ancora nessuna chiesa e passavano molti torrenti che non permettevano agli abitanti di alcuni rioni di partecipare alle celebrazioni religiose facilmente; inoltre ci informa che la chiesa esisteva già nel XII secolo.[6] Nello stesso testo si ricorda un patto tra il prevosto dell'epoca e i monaci dell'Ordine di Sant'Ambrogio ad Nemus, che per un periodo furono possessori dell'edificio (dal 1472). Quest'ordine venne poi soppresso da Papa Urbano VIII con la Bolla del 2 dicembre del 1643 e in questi anni la chiesa era una delle undici comunità religiose della zona.

Inoltre dall'Archivio Spirituale della Curia di Milano (metà del XV secolo)[7] appare già la cappellania di Santa Maria la Vite.

Nel corso del XVII secolo e del XVIII secolo alcune fonti evidenziano come l'affluenza al monastero annesso alla chiesa fosse bassa. Infatti San Carlo Borromeo, durante una sua visita al monastero nel 1583 contò soltanto 3 padri e 2 conversi dell'ordine che possedeva l'edificio in quell'epoca: l'Ordine dei carmelitani scalzi[8]. Alla soppressione dell'ordine, il convento ospitava invece 5 religiosi e 4 conversi.[8] In precedenza, il monastero era stato retto dapprima dagli Umiliati e in seguito dai frati dell'Ordine di Sant'Ambrogio ad Nemus.[2]

Sono disponibili fonti che vedono in visita alla chiesa nel 1615 il cardinal Federigo Borromeo.[9]

Nel 1782 il monastero chiuse e venne acquistato da dei privati insieme ai beni interni e diventò opificio serico e poi abitazione rurale, finché nella seconda metà del XIX secolo tornò a svolgere le sue funzioni religiose.

Oggi ospita il S.I.C.C. (Scambi Internazionali Culturali Comparati).

Nel XVI secolo la chiesa possedeva 5 altari, rispettivamente dedicati a Santa Marta, La Beata Vergine Maria, Santa Caterina, Sant'Antonio e del Corpus Domini, su cui fu eretta la Scola del Santissimo Sacramento mantenuta solamente con le offerte. Erano presenti alcuni sepolcri, in particolare quello per i fratelli del Santissimo Sacramento di fronte all'altare del Corpus Domini. Qui si inumavano i cadaveri, ma dopo la soppressione della Confraternita del Santissimo Sacramento queste sepolture vennero proibite poiché non avevano i requisiti richiesti.[10]

Con l'avvento dei Carmelitani la chiesa venne ulteriormente affrescata e dipinta, mentre nel 1704 venne ampliata.

Elementi di decoro e di ingrandimento architettonico furono aggiunti tra il 1897[11] e il 1901.[12]

Ad oggi si nota la presenza di un convento dal chiostro, visibile soltanto in parte. La parte per la vita monastica è occupata al giorno d'oggi da abitazioni, come la parte ad Ovest, un tempo adibita ai dipendenti del monastero, che presenta un ampio cortile.

La chiesa, dotata di una sola navata[1], è dimezzata da un tavolato e all'interno quello che rimane rivela una decorazione Cinquecentesca con alcune pitture più antiche. Tra alcuni medaglioni incompleti è chiara la figura di Sant'Ambrogio. L'abside è di rimpetto a un altare smussato per garantire la visione totale del catino, che presenta una decorazione rappresentante la Crocifissione di Cristo con la vista di Gerusalemme, alcuni angeli, la Vergine Maria, Maria Maddalena e San Giovanni. Ai lati gli affreschi raffigurano una Madonna in trono con il Bambino a sinistra, mentre a destra Santo Stefano con altri Santi. Tra gli affreschi incompleti troviamo un'Ultima Cena con mezze figure e teste. Sul timpano della porta laterale è presente una lapide con scritto: "(INGR)EDERE O QUISQUIS SEQUERIS VESTIGIA CHRISTI ADAPETA BONIS IANUA CLAUSA MALI 1617"[13]; ovvero un invito a chi trova pace ed elevazione d'animo nella chiesa.

È possibile visitare la chiesa su prenotazione. L'edificio è aperto e visitabile in occasione di manifestazioni e spettacoli.

  1. ^ a b Noi Cittadini, Olginate, 2007, p. 10.
  2. ^ a b c Annalisa Borghese, Olginate, in Il territorio lariano e i suoi comuni, vol. 22, Milano, Editoriale del Drago, 1992, p. 341-342.
  3. ^ Giovanni Dozio, Le pievi di Garlate e di Oggiono.
  4. ^ Eugenio Cazzani, Storia di Olginate, 1979, p. 239.
  5. ^ Liber chronicus (Archivio Prepositurale di Olginate), Garlate.
  6. ^ Eugenio Cazzani, Storia di Olginate, 1979, pp. 239-241.
  7. ^ Archivio Spirituale della Curia di Milano, vol. 1.
  8. ^ a b Visite pastorali, vol. 2, Pieve di Olginate.
  9. ^ Eugenio Cazzani, Storia di Olginate, 1979, p. 248.
  10. ^ Eugenio Cazzani, Storia di Olginate, 1979, p. 251.
  11. ^ Liber chronicus(Archivio Prepositurale di Olginate), Garlate, pp. 3-4.
  12. ^ Liber chronicus (Archivio Prepositurale di Olginate), Garlate, p. 29.
  13. ^ Eugenio Cazzani, Storia di Olginate, 1979, p. 253.
  • Eugenio Cazzani, Storia di Olginate, 1979.
  • Noi Cittadini, Olginate, 2007.
  • Liber chronicus (Archivio Prepositurale di Olginate), Garlate.
  • Giovanni Dozio, Le pievi di Garlate e di Oggiono.
  • Visite pastorali (Archivio Spirituale della Curia di Milano), vol. 2, Pieve di Olginate.
  • A cura di Roberto Zambonini e Giuseppe Leone, Santa Maria la Vite (Le voci, l'arte, la storia, la fede di un convento fra impronte del passato e progetti per il futuro), Editore Associazione culturale Il Melabò, Lecco, 2009.

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